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Navi cinesi circondano Taiwan. Rischi per la supply chain

La Cina ha schierato 6 navi e 51 aerei nell’area intorno all’isola di Taiwan. Una mossa che segue l’intensificazione delle esercitazioni militari da parte del Dragone nelle ultime settimane, soprattutto dopo le visite istituzionali di Nancy Pelosi e di un contingente del Congresso Usa a Taipei. La tensione aumenta, così come la corsa agli armamenti in tutta la regione, ma questo potrebbe portare a un sovraccarico della supply chain della Difesa…

La situazione nell’Indo-Pacifico si scalda sempre più. Il ministero della Difesa di Taiwan ha riferito su Twitter che 51 aerei e 6 navi cinesi sono stati avvistati mentre operavano intorno all’isola. Una mobilitazione che arriva proprio dopo le precedenti esercitazioni militari cinesi delle ultime settimane e in contemporanea all’annuncio di Washington e Taipei di voler intensificare la propria partnership commerciale. Pechino ha infatti dichiarato di agire per “proteggere la propria sovranità”, messa in discussione dal sostegno ai separatisti di Taipei, dal momento che la Cina rivendica come proprio il territorio di Taiwan. L’allarme l’aveva lanciato anche Daniel Kritenbrink il principale inviato Usa in Asia orientale che aveva parlato delle ultime iniziative del Dragone come “passi che fanno parte di un’intensificazione della campagna di pressione… per intimidire, costringere e indebolire la resistenza di Taiwan”.

Lo schieramento

Delle 6 navi e 51 aerei dell’Esercito popolare di liberazione cinese avvistati nelle aree circostanti a Taiwan, 25 velivoli sono entrati nella zona di difesa aerea e alcuni hanno attraversato la linea mediana dello Stretto di Taiwan, una sorta di confine non ufficiale che separa le due parti. Il ministero della Difesa taiwanese ha inoltre reso noto che le Forze armate dell’isola stanno monitorando la situazione e, in risposta alla mobilitazione di Pechino, hanno schierato in difesa aerei da combattimento, navi e sistemi missilistici di terra a fini di deterrenza.

I precedenti

La Cina, infatti, ormai da settimane continua ad aumentare la pressione militare sull’isola, soprattutto in seguito alla visita di inizio agosto della speaker della Camera statunitense, Nancy Pelosi – la prima in 25 anni – a cui è seguita quella di un contingente del Congresso Usa, guidato dal senatore Ed Markey. L’amministrazione del presidente cinese Xi Jinping, aveva puntato il dito contro tali incontri, visti come una violazione della volontà cinese di impedire all’isola contatti con l’estero. È stato infatti intenso e risoluto il programma di esercitazioni militari che il Dragone ha messo in campo nell’area fino all’11 agosto, coinvolgendo sei aree circostanti Taiwan, in alcuni casi oltrepassando la linea mediana dello Stretto e lanciando missili in mare. In seguito, il Comando del teatro orientale dell’Esercito cinese aveva risposto invece alla seconda visita con un pattugliamento di sicurezza e un’esercitazione interforze nelle acque e nello spazio aereo intorno all’isola il 15 agosto. In quell’occasione il portavoce del Comando, Shi Yi, aveva definito l’iniziativa un “deterrente” nei confronti degli Stati Uniti e di Taiwan, che “hanno minato la pace e la stabilità nello Stretto”, aggiungendo che sarebbero state prese “tutte le misure necessarie” per salvaguardare la sovranità nazionale. Analoghe azioni sono state annunciate anche dai portavoce dei ministeri della Difesa e degli Esteri di Pechino, che hanno accusato gli Usa di aver violato il “principio della Cina unica”, oltre che la sovranità nazionale e l’integrità territoriale del Paese. Non solo, come ritorsione alle visite istituzionali statunitensi, Pechino ha anche bloccato le spedizioni di agrumi e altri prodotti alimentari taiwanesi. Tutto questo porta la tensione tra Cina e Stati Uniti ad un nuovo livello e bisognerà attendere per vedere i prossimi sviluppi.

Ma attenzione alla supply chain

L’aumento delle tensioni nell’Indo-Pacifico ha portato velocemente ad una maggiore corsa agli armamenti ai fini di deterrenza in tutta l’area. Quella che potrebbe sembrare un’importante finestra di opportunità per l’industria della difesa però porta con sé delle criticità, legate soprattutto alla supply chain. Gli ultimi mesi sono stati intensi per la Defence security cooperation agency, il braccio del Pentagono che supervisiona le vendite militari all’estero. Come riporta il Financial Times nei primi sette mesi del 2022, l’agenzia Usa ha infatti facilitato 44 grandi accordi, tra cui la vendita di 35 caccia F-35 alla Germania, un dato in aumento rispetto a quelli registrati nei tre anni precedenti. Tuttavia di recente i principali appaltatori americani della difesa, durante le numerose conferenze stampa, hanno avvertito delle difficoltà registrare dal settore nell’ottenere parti e componenti, oltre che manodopera. Come gran parte dei produttori di altri settori, anche la catena di approvvigionamento della difesa si disperde in molte ramificazioni e ha risentito degli effetti prima della pandemia e poi della guerra in Ucraina. Se la pressione militare su Taiwan aumenta, insieme alla corsa agli armamenti nella regione, la situazione della supply chain della difesa potrebbe complicarsi ulteriormente, rischiando carenza tra gli altri di motori, materie prime e semiconduttori.

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