Un affare da 525 milioni di dollari, che garantisce i ruoli dei tre fondatori (reduci dal successo di “Politico”) e che testimonia come l’azienda dei media abbia percorso passi da gigante da quando è stata creata. E ne vuole compiere di ancora più ambiziosi, con in vista le prossime elezioni americane
Tutto cambia affinché nulla cambi. Per Axios, la celebre frase di Tancredi nel Gattopardo vale a metà. Dopo aver accettato l’offerta da 525 milioni di dollari, la società di media digitale è passata sotto il pieno controllo della Cox Enterprises, già socia di minoranza. A rimanere uguale, invece, è l’organigramma. Come scrive il New York Times, i tre fondatori Jim VandeHei, Roy Schwartz e Mike Allen rimarranno ai loro posti, con i primi due a ricoprire rispettivamente le cariche di presidente e amministratore delegato. Oltre alla libertà editoriale e di investimento, i tre manterranno insieme ai dipendenti una quota di minoranza pari a circa il 30%. “Questo è il lavoro della mia vita, la mia passione. La farei anche gratis”, ha dichiarato VandeHei, evidentemente soddisfatto dell’accordo.
Per la verità, ad essere contenti sono un po’ tutti. La società con sede a Washington, creata dopo la fuoriuscita dei tre fondatori da Politico cinque anni fa, è cresciuta esponenzialmente, anche grazie agli accordi con HBO e MSNBC. Oggi è considerata una fonte più che autorevole, grazie al nome che è riuscita a costruirsi nell’ambiente. Una realtà consolidata, quindi, su cui la Cox ha deciso di scommettere pesantemente, convinta delle potenzialità che è ancora in grado di esprimere. Basti pensare che l’acquisto supera di 400 milioni di dollari l’offerta pensata lo scorso anno da Axel Springer, così come di altrettanti (e passa) milioni di dollari le entrate previste per il 2022. Queste, infatti, dovrebbero ammontare a circa 100 milioni di dollari. Forse non tantissimo per le aspettative, ma dentro bisogna inserirci gli investimenti decisi dalla società.
Si guarda al futuro, pertanto, e lo si fa puntando sulla tradizione. Cox opera nel mercato da 124 anni ma ha capito che, di fronte a un mondo dominato dalle Big Tech, l’avventura di Axios sia vincente. “Naturalmente”, ha dichiarato il presidente dell’azienda di Atlanta, Dallas Clement, “i media hanno subito una serie di interruzioni negli ultimi anni. Stavamo cercando nuovi modelli e pensavamo che Axios portasse qualcosa di nuovo sul tavolo”. Vero, visto il modo originale di trattare le notizie, a metà tra approfondimenti e newsletter. Ora, l’idea balenata in mente ai tre fondatori sarebbe quella di ripercorrere le orme calcate da Politico, mettendo alcune storie dietro abbonamento. Così come anche espandere la cronaca regionale, per cercare di allargarsi oltre le ventidue città che già coperte provando ad arrivare a cento località nei prossimi anni, come ha affermato VandeHei.
L’obiettivo è quindi aumentare quel bacino di 19,4 milioni di lettori raggiunto a giugno, superando realtà importanti come Time (14,6 milioni) e ABC News (14,3 milioni). Arrivare alle cifre delle varie leader del settore, come Cnn, New York Times e Washington post, appare un’operazione complessa, ma con il tempo niente è impossibile. Axios ha non a caso dimostrato che saper fare informazione nel ventunesimo secolo non è utopia, anche nel mondo del digitale. La motivazione è stata offerta proprio dal suo presidente, che ritiene più saggio inseguire “un pubblico di qualità” piuttosto che le mode, che falsificano la realtà per un determinato momento per poi mostrarla più impietosa che mai.
La prossima sfida sembra già fissata. Le elezioni di metà mandato 2022 ma, soprattutto, quelle del 2024 saranno al centro dell’interesse statunitense quanto di quello internazionale. Per essere all’altezza, Axios punta ad allargare la sua squadra, per garantire la qualità che si aspettano i suoi lettori. Cambiare tutto per non cambiare niente, appunto.