Intervista al presidente della Commissione esteri del Pd: preoccupante l’escalation tra Serbia e Kosovo, i negoziati ripartano subito. L’Ue ha le sue responsabilità, nella regione cresce il risentimento per una promessa tradita e Russia e Cina avanzano
Il tempo non è una soluzione. E di tempo “non ce n’è più”. L’escalation di violenza che rischia di rigettare l’ombra della guerra sui Balcani dopo le ultime tensioni tra Serbia e Kosovo chiama in causa l’Ue e le sue responsabilità, dice a Formiche.net Piero Fassino, prima fila del Pd e presidente della Commissione Esteri della Camera.
Fassino, i Balcani tornano a fare paura?
Dobbiamo fermare assolutamente l’escalation di tensione ed evitare che uno scontro armato faccia ripiombare Serbia e Kosovo nella tragedia di venticinque anni fa.
Lo scontro era prevedibile?
È la conferma che il trascorrere del tempo, da solo, non serve a risolvere i conflitti, semmai li acutizza. Il contenzioso tra Serbia e Kosovo è noto a tutti da anni, da quando è nato il Kossovo indipendente, mai accettato dalla Serbia. Per superare quella contrapposizione la comunità internazionale ha fatto due scelte: la Nato ha dislocato come forza di interposizione il contingente Kfor, a cui contribuisce in modo significativo anche un contingente militare italiano, e l’Unione europea ha nominato un Inviato speciale per favorire un canale negoziale tra Belgrado e Pristina.
Il risultato?
La lentezza e la stanchezza delle trattative ci ha portati a un bivio. O l’Ue prende una iniziativa ferma e risoluta, aprendo un negoziato a Bruxelles che si sviluppi senza interruzioni finché non si trovi una soluzione, oppure continueremo ad evocare in modo astratto una soluzione finché sarà troppo tardi.
L’Ue ha dunque le sue responsabilità?
Sono innegabili. Nel 1995, quando la pace di Dayton ha chiuso la guerra dei Balcani, la comunità internazionale ha promesso a quei Paesi l’integrazione nelle istituzioni euroatlantiche per farli approdare a una condizione di stabilità. Impegno confermato dal Consiglio europeo di Salonicco del 2003 che varo’ la strategia di integrazione dei Balcani occidentali.
Quasi vent’anni fa. Siamo ancora all’anno zero?
Sí, è trascorso un tempo troppo lungo. I negoziati con Serbia e Montenegro procedono a rilento, quelli con l’Albania e la Macedonia del Nord sono stati aperti due settimane fa, Bosnia e Kosovo sono ancora ferme a una generica prospettiva di inclusione. Una esasperante lentezza che ha causato tre negative conseguenze.
Quali?
In vent’anni è cresciuta la frustrazione delle opinioni pubbliche nei Balcani per una promessa di integrazione europea rimasta sulla carta. L’incertezza europea ha favorito l’invasività di altri attori, come a Cina, Russia, Turchia, Emirati. E la lentezza di Bruxelles ha dato a diversi Paesi candidati l’alibi di rallentare le riforme necessarie ad entrare in Ue. Prendere inutilmente tempo non ha prodotto un solo dividendo positivo per l’Ue, né per i Balcani. L’Unione europea deve cambiare passo, accelerando i tempi della integrazione della regione.
Il discorso alla nazione di Vucic richiama in parte la retorica di Vladimir Putin sull’Ucraina. E il Cremlino non ha perso tempo a dare manforte a Belgrado.
La Russia ha con la Serbia storici rapporti culturali, politici e religiosi, non lo scopriamo oggi. Non a caso è stato l’unico Paese che ha deciso di non applicare sanzioni a Mosca. E Mosca coltiva ogni giorno quel rapporto cercando di usare la Serbia per accrescere la propria influenza nella regione. A maggior ragione un’Ue lenta e incerta spingerà la Serbia nelle braccia di Russia e Cina. L’unico modo per arginare invasività indesiderate è accelerare l’integrazione nella Ue.
C’è una lezione dalla guerra in Ucraina?
Sì, le uniche guerre che l’Europa ha conosciuto dalla caduta del muro di Berlino sono esplose nelle regioni ai confini dell’Unione europea: Balcani, Caucaso, Ucraina. Guerre che hanno investito quei Paesi, ma anche la sicurezza del continente. La lezione è chiara: o integriamo quelle nazioni, sottraendole così a instabilità e insicurezza, o continuiamo a tenerle in un limbo di insicurezza e allora aspettiamoci altri conflitti.
L’Italia ha qualche carta da giocare per fermare l’escalation?
L’Italia ha un interesse vitale alla stabilità e alla prosperità dei Balcani. Siamo il primo o secondo partner economico dei Paesi della regione. Abbiamo storici legami. E la contiguità fa sì che tutto quel che lì accade ci coinvolga. Il nostro sostegno alla integrazione europea della regione è solido e riconosciuto e apprezzato da governi e opinioni pubbliche. Oltre al contributo in Kfor, siamo il Paese che con più determinazione ha sostenuto a Bruxelles l’accelerazione dell’integrazione europea dei Balcani occidentali. Un sostegno reso più chiaro e forte dal consenso unanime di tutte le forze politiche che siedono nel Parlamento italiano. Come ha giustamente ricordato Draghi in un recente Consiglio europeo “non c’è più tempo” e l’Italia si batterà in ogni sede perché i Balcani siano nella famiglia europea nei tempi più rapidi.