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Beppe Grillo, Calamandrei e il voto ai sedicenni. Scrive Celotto

Per riconoscere il voto ai sedicenni o si cambia la Costituzione o si abbassa in via generale la maggiore età. Oggi, però, dovremmo preoccuparci più dell’“indifferenza” alla politica. Possiamo anche pensare di aprire il voto ai più giovani, ma a poco servirà se non saremo capaci di motivare ed educare tutti all’esercizio consapevole della democrazia. Il commento di Alfonso Celotto

Lo ha proposto Enrico Letta, ora Beppe Grillo. Ma quale è l’età “giusta” per votare? Facciamo un riepilogo, partendo dal Regno d’Italia.

Nel 1861, per votare occorrevano 25 anni (e tutta una altra serie di requisiti).

Poi nel 1881 si passò a 21 anni per essere esteso a tutti i 30enni nel 1912 (e sempre a 21 anni se avessero effettuato il servizio militare o completato la scuola elementare).

Nel 1919 il diritto di voto fu esteso a tutti i 21 enni, di sesso maschile, per poi essere riconosciuto anche alle donne nel 1945.

La Costituzione repubblicana riconosce il diritto di voto a “tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”. Quindi non fissa un limite di età, ma lo lega alla maggiore età. Che nel 1948 era fissata ancora a 21 anni e poi è diventata di 18 anni nel 1975 (Legge n. 39 del 1975). E quest’anno per la prima volta i 18enni voteranno anche per il Senato (avendo modificato l’art. 58 Cost.).

Per riconoscere il voto ai sedicenni, quindi, o si cambia la Costituzione o si abbassa in via generale la maggiore età. Il dubbio di fondo è un altro, tuttavia.

Negli ultimi anni cresce l’indifferenza alla politica e quindi l’astensionismo.

Alle elezioni politiche del 1948 votò il 92.18%, per poi raggiungere il 93,9% nel 1958 e ancora il 93.4 nel 1976. Nel 2018 abbiamo assistito al minimo storico con il 72.9% e molti dei sindaci eletti nelle amministrative del 2021 e nel 2022 è stato eletto con il voto di meno del 50% degli aventi diritto.

Piero Calamandrei ci disse lucidamente:

“La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità; per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, indifferentismo, che è, non qui per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani, un po’ una malattia dei giovani. La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della politica”.

Parlava agli studenti milanesi, nel 1955.

Oggi credo che dobbiamo preoccuparci molto dell’“indifferenza” alla politica. Possiamo anche pensare di aprire il voto ai sedicenni, ma soprattutto dobbiamo saper motivare ed educare tutti all’esercizio consapevole della democrazia.



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