Quella dell’Aquila si iscriverà certamente nella storia della Chiesa come una giornata memorabile, e dà la cifra di come si imposterà da domani la discussione sull’argomento degli argomenti: “come predicare il Vangelo”?
Per settimane ci si è chiesti perché Francesco avesse deciso di convocare un concistoro a fine agosto, nominare 16 cardinali elettori e poi interromperlo per andare a presiedere, primo vescovo di Roma nella storia della Chiesa a farlo, la festa della Perdonanza a L’Aquila. Ora abbiamo la risposta. Infatti stamane, verso le undici, Francisco ha ristabilito una verità storica: “Celestino V è stato un testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire. In lui noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è Misericordia. Questa è il cuore stesso del Vangelo, perché la misericordia è saperci amati nella nostra miseria. Vanno insieme”.
Se il successore di Celestino V, Bonifacio VIII, è universalmente noto e da molti apprezzato nonostante oggi la sua scelta teocratica non abbia assonanza con la nostra cultura ( i tempi cambiano), Celestino V non è meno noto, ma non apprezzato. Anzi, il suo nome è diventato sinonimo di paura, viltà. Ecco allora cosa doveva fare Francesco in questo 28 agosto, cambiare il paradigma del potere. L’esempio è l’uomo che, anziano e malato, preferì dimettersi, non chi lo fece arrestare per i timori classici del tempo e cioè che divenisse l’antipapa (figura nota a quel tempo). Il punto è talmente noto nella presunta viltà di Celestino V da aver fatto ombra per secoli alla sua anticipazione politica, culturale, religiosa, ecclesiale: il perdono, la Misericordia.
La vulgata voleva che Francesco andasse a L’Aquila, nel luogo fu Celestino V, per fare come lui: dimettersi. Troppo stanco, troppo “acciaccato”. E allora che fa? Va all’Aquila, a casa di Celestino V, a fare anche lui il Gran Rifiuto. Per molti era chiaro. Un progetto talmente incredibile da aver conquistato pagine e pagine. Ora invece che l’evidenza è diventata evidente come anche il capovolgimento dell’ingiustizia e della ferita inflitte al cristianesimo con la “condanna morale” di Celestino V e del suo amore per la Misericordia in tempi teocratici, la notizia sparisce, non c’è. Celestino V, il simbolo dei vili, è diventato un testimone coraggioso. Una tragedia per chi ha preso alla lettera Dante, la sua condanna all’inferno di Maometto o la sua visione di un inferno fatto di forconi e acque bollenti. Il racconto poetico, la vera irraggiungibile grandezza di Dante, erano spariti in un racconto teologico che faceva di lui il vero San Paolo. Ora allora possiamo dire che alla Chiesa di Innocenzo III e di Bonifacio VIII, dopo la Chiesa del paradigma verticale, “Papa, vescovi, sacerdoti”, arriva la Chiesa di Celestino, la Chiesa della Misericordia, la Chiesa del paradigma sinodale.
Dopo la visita a Lundt, il 31 ottobre 2016, quando Francesco ha partecipato alle celebrazioni del cinquecentenario di Martin Lutero, quella odierna è una data di pari importanza: dopo la riconciliazione esterna, la riscrittura di una pagina che aveva cancellato quello che pur sempre è stato da subito un Santo. Ma questo non si diceva, non si sa. La Santità di Celestino non risultava in un ordine che si voleva “cristianista”.
Certo che erano altri tempi, un altro mondo, ma la condanna di Celestino V ha fatto una cultura, una visione, un’idea. “ Oggi celebriamo l’Eucaristia in un giorno speciale per questa città e per questa Chiesa: la Perdonanza Celestiniana. Qui sono custodite le reliquie del santo Papa Celestino V. Quest’uomo sembra realizzare pienamente ciò che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: «Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore». Erroneamente ricordiamo la figura di Celestino V come “colui che fece il gran rifiuto”, secondo l’espressione di Dante nella Divina Commedia; ma Celestino V non è stato l’uomo del “no”, è stato l’uomo del “sì”. Infatti, non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili, non ce n’è un altro. Proprio perché sono tali, gli umili appaiono agli occhi degli uomini deboli e perdenti, ma in realtà sono i veri vincitori, perché sono gli unici che confidano completamente nel Signore e conoscono la sua volontà. È infatti «ai miti che Dio rivela i suoi segreti. […] Dagli umili egli viene glorificato» (Sir 3,19-20).
Nello spirito del mondo, che è dominato dall’orgoglio, la Parola di Dio di oggi ci invita a farci umili e miti. L’umiltà non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie. A partire proprio dalle nostre miserie, l’umiltà ci fa distogliere lo sguardo da noi stessi per rivolgerlo a Dio, Colui che può tutto e ci ottiene anche quanto da soli non riusciamo ad avere. «Tutto è possibile per chi crede» (Mc 9,23). La forza degli umili è il Signore, non le strategie, i mezzi umani, le logiche di questo mondo, i calcoli… No, è il Signore”.
Forse questa giornata non è stata capita, in Italia il contesto elettorale può aver tolto spazio, ma quella dell’Aquila si iscriverà certamente nella storia della Chiesa come una giornata memorabile, e dà la cifra di come si imposterà da domani la discussione sull’argomento degli argomenti: “come predicare il Vangelo”?
Ecco: “Cari fratelli e care sorelle, voi avete sofferto molto a causa del terremoto, e come popolo state provando a rialzarvi e a rimettervi in piedi. Ma chi ha sofferto deve poter fare tesoro della propria sofferenza, deve comprendere che nel buio sperimentato gli è stato fatto anche il dono di capire il dolore degli altri. Voi potete custodire il dono della misericordia perché conoscete cosa significa perdere tutto, veder crollare ciò che si è costruito, lasciare ciò che vi era più caro, sentire lo strappo dell’assenza di chi si è amato. Voi potete custodire la misericordia perché avete fatto l’esperienza della miseria. Ognuno nella vita, senza per forza vivere un terremoto, può, per così dire, fare esperienza di un “terremoto dell’anima”, che lo mette in contatto con la propria fragilità, i propri limiti, la propria miseria. In questa esperienza si può perdere tutto, ma si può anche imparare la vera umiltà. In tali circostanze ci si può lasciar incattivire dalla vita, oppure si può imparare la mitezza. Umiltà e mitezza, allora, sono le caratteristiche di chi ha il compito di custodire e testimoniare la misericordia. Sì, perché la misericordia, quando viene da noi è perché noi la custodiamo, e anche perché noi possiamo dare testimonianza di questa misericordia. È un dono per me, la misericordia, per me misero, ma questa misericordia dev’essere anche trasmessa agli altri come dono da parte del Signore”.