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Vizi e virtù del programma del centrodestra secondo Orsina

Secondo il politologo Orsina, il programma del centrodestra “nel complesso è un mix con alcune cose specifiche piuttosto realistiche ed altre meno”. Cosa dovrà fare Meloni in caso di vittoria? “Se vorrà durare dovrà essere generosa con gli alleati e aprire un canale di comunicazione con l’opposizione”

Primo a circoscrivere il perimetro delle alleanze, primo a presentare il simbolo e adesso primo nel mettere a punto il programma di governo. Non si può dire che il centrodestra italiano pecchi di rapidità, quando mancano 44 giorni alle elezioni anticipate del 25 settembre. Un piano, quello scritto da Fazzolari e Fitto per FdI, Siri e Romeo per la Lega; e per Forza Italia Cattaneo e Mandelli (al tavolo previsti anche i rappresentanti di Coraggio Italia, Udc, Noi per l’Italia e Italia al centro), che presenta una serie di elementi utili da scomporre e valutare.

Il riferimento è alla separazione delle carriere, all’elezione diretta del Capo dello Stato, ad una nuova definizione di tassazione anche per gli autonomi, ad un programma di investimenti relativi all’infrastrutturazione che necessita una notevole armonizzazione con realtà territoriali che, ad esempio, già faticano a spendere i classici fondi europei. E ancora, nuove trivelle in Adriatico, nuovo concetto di sostenibilità e politiche per le famiglie su cui pende la spada di Damocle di un debito già oltre i limiti, come ricordato pochi giorni fa dal New York Times.

Secondo il politologo Giovanni Orsina, Professore ordinario di Storia contemporanea e direttore della School of Government presso la Luiss, dei programmi, in fondo, agli elettori importa fino ad un certo punto: in particolar modo, preso per intero così com’è, il vademecum del centrodestra, pur avendo interessanti spunti, appare difficilmente realizzabile, dal momento che non sarebbe sufficiente una legislatura.

Il programma del centrodestra è oggettivamente attuabile o rientra nelle generali promesse pre elettorali?

Se lo prendiamo in blocco, con i provvedimenti di spesa e gli investimenti che ci stanno dentro, non è attuabile. Alcuni punti specifici, quelli politicamente più sensibili – sul fisco, ad esempio –, sono presentati in maggior dettaglio e, magari in parte e gradualmente, mi paiono attuabili. Se poi andiamo più avanti nel programma, su spese sociali, scuole, università, molti provvedimenti sono indicati in maniera molto generica e potrebbero costare uno sproposito. Nel complesso è un mix con alcune cose specifiche piuttosto realistiche e altre meno. È anche un programma molto moderato, nel complesso.

La separazione delle carriere, promessa dal 1994 ad oggi, come si lega ad esempio alla riforma Cartabia?

La riforma Cartabia ha già molto limitato i passaggi da una funzione all’altra. Ed era una riforma di compromesso in un governo di coalizione. Un gabinetto di centrodestra non può che ambire ad andare oltre: la separazione delle carriere è un tema storico della destra italiana, e quindi era quasi inevitabile che nel programma ci fosse. Dopodiché, torniamo al tema del realismo, declinato non in senso economico, in questo caso, ma politico: un eventuale futuro governo di destra avrebbe la forza di fare una riforma del genere, avendo con quasi certezza la magistratura contro? Tutto da vedere.

L’elezione diretta del Presidente della Repubblica sarebbe un passo verso il semipresidenzialismo? Oggi Berlusconi ha detto che in quel caso Mattarella dovrebbe dimettersi…

L’elezione diretta del Presidente della Repubblica di per sé vuol dire poco, perché ovviamente si tratta poi di capire come viene ricostruito il sistema dei poteri e contropoteri intorno al Presidente. È ben evidente, comunque, che se il Presidente lo fai eleggere direttamente poi non puoi che farne qualcosa di più del garante e notaio che è adesso. Insomma: è di fatto inevitabile che, con l’elezione diretta, si vada verso un sistema per lo meno semipresidenziale. Bisogna però capire non solo come viene costruita la riforma, ma anche come viene costruito il percorso verso la riforma. Una riforma di questo tipo fatta “a colpi di maggioranza” sarebbe fortemente divisiva. Bisognerebbe quindi provare a concordarla anche con l’opposizione. Ma l’opposizione alla fine, per motivi politici, la boicotterebbe comunque. È il gioco al quale giochiamo dal 1994: le riforme non si fanno né unilateralmente né tutti insieme. Bisognerebbe eleggere un’assemblea costituente: ma chi mai, dopo aver vinto o magari stravinto un’elezione, ne indirebbe un’altra?

Il partito che prenderà più voti nel centrodestra, verosimilmente Fratelli d’Italia, con che strategia dovrà non solo approcciarsi agli altri due alleati della coalizione, ma approcciarsi anche all’altro schieramento per immaginare comunque una stagione di riforme importanti come quella che lei ha appena citato?

Il sistema politico italiano è debolissimo: sono deboli i partiti, deboli le coalizioni. All’interno di questa marmellata, ciclicamente, emerge una personalità forte che struttura intorno a sé il conflitto politico. Dal 1994 al 2011 è stato Berlusconi, poi c’è stato dal 2011 al 2014 un momento, diciamo, di interregno, prima che emergessero Renzi e poi Salvini. Oggi al centro del sistema politico c’è Meloni. Come si può notare, i cicli diventano sempre più rapidi, sempre più brevi. I leader ascendono e discendono sempre più velocemente.

Allora qual è il punto?

La politica italiana è fatta per garantire tutti. Questa storia che l’Italia è il Paese dei leader forti è una bufala: l’Italia è il Paese dove tutti tengono famiglia e a tutti dev’essere dato spazio. Quando emerge un leader forte che rischia di togliere spazio agli altri, allora, tutti si coalizzano per farlo (o farla) fuori. Questo è il gioco. È successo con Renzi, è successo con Salvini.

Berlusconi è durato molto più a lungo. Perché?

Per due ragioni. La prima è che far fuori Berlusconi è come abbattere un rinoceronte: ha soldi, televisioni, carisma e vitalità. La seconda è la sua generosità. Berlusconi è stato un leader generoso, innanzitutto con i suoi alleati. E poi, anche se in una forma molto disfunzionale, ha sempre lasciato spazio anche all’opposizione. Altro che fascismo del terzo millennio, come si disse nel 2001 toccando vette fino ad allora inviolate di stupidità. Doroteismo del terzo millennio.

Ovvero?

Se le elezioni vanno come io penso che vadano, dal 26 settembre il gioco sarà “tutti contro Meloni”. Del resto, lo è già adesso. L’unico modo che Meloni ha per evitare, o limitare, questa dinamica è non fare l’asso pigliatutto: lasciare spazio agli alleati e aprire il dialogo anche con l’opposizione. Questo, secondo me, è il modo per riuscire a durare di più in una situazione del genere.

Il ragionamento potrebbe toccare anche punti programmatici, secondo lei, o si limiterebbe ad un’infrastruttura come per esempio una bicamerale?

Non voglio essere troppo cinico, ma dei programmi in Italia non importa niente a nessuno. I programmi da sempre, anche in Prima Repubblica, sono subordinati agli equilibri di potere. Il vero punto è quanto chi vince riesca a limitare i propri (legittimi) appetiti e condividere le “cadreghe”.

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