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La crisi bancaria cinese è uno tsunami. Pettis (Carnegie) spiega perché

L’improvvisa assenza di liquidità dei piccoli istituti di territorio legati a doppio filo al mercato immobiliare è figlia di una scommessa tutta politica, lanciata da Pechino: fissare un obiettivo di Pil e fare di tutto per raggiungerlo. Anche prestando soldi a chi non poteva restituirli. E ora il problema è diventato sistemico

Fosse stata una piccola scossa tellurica locale, circoscritta, a Pechino si sarebbe persa solo qualche ora di sonno. E invece no, la crisi delle piccole banche di territorio, gli istituti inguaiati dai prestiti concessi al mercato immobiliare ormai pressoché insolvente, è molto più di uno psicodramma da villaggio. Banalmente, un virus che può propagarsi velocemente all’intera finanza cinese, arrivando fino al cuore del Dragone, assumendo le sembianze di quella Lehman Brothers che ancora oggi è sinonimo di contagio.

Michael Pettis, economista in forza a Carnegie, ha dedicato al corto circuito bancario un’attenta analisi. Con una tesi di fondo chiara: la crisi di liquidità degli istituti minori non è un problema di qualche lontana regione, ma un qualcosa che può far male al governo e dunque al partito. Un problema sistemico, insomma.

“Ciò che è accaduto nell’Henan (una delle regioni in cui si sono verificate le prime crisi di liquidità, ndr) non è stato il primo evento creditizio avverso a colpire il sistema finanziario cinese. È stato solo il più recente dell’ultima serie di importanti eventi del Paese, che si può dire sia iniziata nel maggio 2019 con l’intervento nella Baoshang Bank. Poco più di un anno dopo, Baoshang è diventata la prima banca cinese ad essere chiusa da quando la Shantou Commercial Bank ha chiuso i battenti nel 2001″, premette Pettis.

Ora, “dovrebbe essere chiaro che non si tratta di eventi isolati che possono essere imputati ai diversi fattori scatenanti che li hanno innescati. È molto più probabile che facciano parte di un problema sistemico che si è sviluppato nell’economia cinese per più di un decennio. Ciò significa, tra l’altro, che anche se il mercato immobiliare si riprenderà il prossimo anno, in coincidenza della fine dei lockdown pandemici, la ripresa potrà essere solo parziale e temporanea. Nel medio termine i prezzi degli immobili continueranno a scendere e le insolvenze continueranno ad emergere. Finché il problema sistemico non sarà affrontato e risolto, non potrà esserci una stabilizzazione permanente del mercato immobiliare cinese o più in generale della sua economia”.

Il senso del ragionamento di Pettis è chiaro. La Cina sta seriamente rischiando di compromettere le sue speranze di ripresa future, qualora perseverasse nel considerare la crisi delle banche locali un fenomeno circoscritto. E questo perché il debito è quanto di più contagioso in natura. Non è finita. “Al centro di questo processo di deterioramento del credito c’è il modo in cui la forma la struttura dell’attività economica in Cina, che si è evoluta negli ultimi dieci o vent’anni. Nella maggior parte dei paesi, il Pil è una misura della produzione fornita dagli attori economici in un determinato periodo, mentre in Cina il Pil è un input determinato politicamente all’inizio di un periodo di tempo. Una volta che la Cina ha fissato il suo obiettivo di Pil, i governi locali (e, fino a poco tempo fa, il settore immobiliare) hanno avuto la responsabilità di fornire abbastanza attività economica per raggiungere l’obiettivo di crescita del Pil fissato”.

Peccato che Pechino abbia iniziato a investire sistematicamente in modo eccessivo in progetti che contribuivano all’economia meno di quanto costassero. E “il risultato è stato un forte aumento dell’onere del debito del Paese: è solo quando il debito viene utilizzato per finanziare investimenti non produttivi che il debito aumenta più rapidamente. Dunque, combinando obiettivi di crescita del Pil eccessivamente elevati con un processo di allocazione del credito determinato amministrativamente (piuttosto che determinato dal mercato), la Cina ha di conseguenza finito per cadere in un sistema finanziario sostenuto dall’azzardo morale. Di conseguenza, una volta che il paese ha esaurito le facili opportunità di investimento, era inevitabile che ci sarebbero state crescenti tensioni all’interno del sistema bancario e un crescente rischio di insolvenza”.

 



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