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Crisi del grano, riprende l’export ucraino (ma non basterà)

Razoni grano Ucraina

La nave che trasporta il primo carico dall’inizio dell’invasione è arrivata in Turchia. Il canale di esportazione dall’Ucraina funziona di nuovo, ma non tornerà a regime per mesi, e non potrà alleviare la crisi alimentare, su cui pesano altri fattori oltre alle variabili russe

Sono ore di speranza a bordo della Razoni, una nave cargo battente bandiera del Sierra Leone, con a bordo 26.000 tonnellate di mais. Martedì mattina ha riacceso il transponder che aveva spento poco dopo essere uscita dal porto di Odessa, lunedì mattina, e ha segnalato di essere a poche miglia dalle acque territoriali turche. Nelle prossime ore attraverserà lo stretto del Bosforo e si fermerà a Istanbul per dei controlli, poi dovrebbe ripartire alla volta di Tripoli, in Libano.

Il viaggio della Razoni è carico di aspettative: trasporta il primo carico alimentare uscito da un porto sotto controllo ucraino dall’inizio dell’invasione russa, e simboleggia la possibilità di sbloccare le venti tonnellate di grano bloccate dalle navi di guerra russe che pattugliano il Mar Nero. Il successo del viaggio darebbe un velo di legittimità all’accordo raggiunto nelle scorse settimane tra Ucraina, Russia e Turchia (fattasi garante) in seno alle Nazioni Unite.

Questa operazione non sta avvenendo sotto i migliori auspici. Da mesi gli invasori russi portano avanti un’operazione di furto e distruzione ai danni dei fattori ucraini, che si apprestano a lavorare con terre e catene di produzione vituperate dalla guerra, mentre il volume di grano esportato dalla Crimea – sotto occupazione russa – è aumentato di 50 volte anche grazie alle quantità sottratte. Il tutto mentre le conseguenze dell’invasione infiammano una crisi alimentare con effetti devastanti sui Paesi del Mediterraneo allargato (il solo Libano solitamente importa l’80% del suo grano dall’Ucraina).

La Russia si è impegnata a non attaccare le navi cariche di grano, a patto di poter controllare che non trasportino armi durante il viaggio di ritorno. A ogni modo, il Cremlino ha un modo tutto suo di dimostrare la sua buonafede. Nel porto di Odessa sono piovuti missili nemmeno ventiquattr’ore dopo la firma dell’accordo di esportazione. Lo stesso è accaduto a Mykolaiv, dove i bombardamenti russi mirati hanno ucciso anche Oleksiy Vadaturskyi, uno dei magnati dell’industria agroalimentare del Paese.

Questi e altri i motivi per cui lo stesso Volodymyr Zelensky ha invitato alla cautela, mentre altri leader festeggiavano la riapertura della tratta commerciale ucraina. “In questo momento è troppo presto per trarre conclusioni e fare previsioni”, ha detto lunedì nel consueto messaggio video alla nazione, “aspettiamo di vedere come funziona l’accordo e se la sicurezza sarà davvero garantita”.

In precedenza aveva dichiarato che il prossimo raccolto potrebbe essere dimezzato. E i suoi ministri hanno spiegato che anche se la Russia rispettasse gli accordi, ci vorranno mesi prima che le esportazioni ucraine tornino a regime: c’entrano i timori degli operatori, il costo delle assicurazioni, le mine russe e ucraine sparse per il Mar Nero, le correnti che potrebbero spostarle.

Il ministro delle infrastrutture, Oleksander Kubrakov, ha stimato in un’intervista che non partiranno più di cinque navi nelle prossime due settimane da Odessa, Chornomorsk e Pivdennyi. Cifre desolanti rispetto alla scorsa estate, quando da quei tre porti (più Mariupol, ora sotto controllo russo) sono salpate 194 navi cariche di grano. Ma l’Ucraina non può che ricostruire la tratta lentamente. “Tra un mese, un mese e mezzo, se tutto va secondo i piani, il mercato vedrà che questo meccanismo funziona, che l’assicurazione è disponibile, che è più economica e che semplificherà l’intero processo”, ha detto.

Finora gli effetti della riapertura del canale commerciale sono positivi: il prezzo del grano, che era quasi triplicato rispetto al 2020, è tornato ai livelli pre-invasione. Ma secondo il Financial Times quel dato va attribuito anche al timore di una recessione globale e all’aumento “record” delle importazioni russe. E i prezzi erano già gonfiati per via degli strascichi della pandemia e delle siccità degli scorsi anni, più frequenti e violente per via del cambiamento climatico. In pratica, gli analisti sono più preoccupati del 2023 che di quest’anno.

In più c’è da considerare la variabile Cremlino. Ancor prima che i missili colpissero Odessa, gli ufficiali occidentali avevano avvertito che la Russia avrebbe potuto usare la tratta del grano come utilizza quella del gas verso l’Europa: flussi funzionanti ma ridotti e intermittenti, per mantenere aperto il canale di pressione geopolitica e massimizzare i ricavi favorendo la volatilità del mercato. Anche a costo di aggravare l’emergenza alimentare nei Paesi più esposti.



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