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Parlare con Usa e Russia, ma sapere da che parte stare. L’insegnamento di De Gasperi

A 68 anni dalla sua scomparsa, un discorso poco conosciuto dello storico fondatore della Democrazia cristiana può essere una lezione di politica estera per chi oggi fa politica. La pace, i rapporti con l’allora Urss e con gli Stati Uniti spiegati ai giovani Dc alla basilica di Massenzio a Roma nel 1948. Il commento di Giorgio Girelli, coordinatore Centro Studi sociali “Alcide De Gasperi”

Su Alcide De Gasperi, di cui il 19 agosto ricorre il 68esimo della scomparsa, si è scritto moltissimo ponendo in evidenza opere, scritti e discorsi dello statista. Merita però di essere ricordato uno dei suoi interventi meno noti, pronunciato il 15 febbraio 1948 ai giovani Dc alla basilica di Massenzio a Roma. Molti punti di quel ragionamento richiamano l’attualità. Innanzitutto la pace ed i rapporti con Russia e Stati Uniti.

Contestando le accuse dell’Urss all’Italia di essere asservita all’imperialismo americano, De Gasperi precisava: “Intendiamoci bene: noi vogliamo buoni rapporti con la Russia e speriamo che essa abbia buoni rapporti con noi”. Aggiungendo però: “Non possiamo accettare il principio che da parte del bolscevismo venga organizzata e alimentata una quinta colonna entro la nostra nazione. Non possiamo ammettere che la politica interna italiana venga manovrata da qualsiasi comitato internazionale”. E sugli Stati Uniti: “Nessuno fa nulla per solo sentimento e anche l’America fa i suoi calcoli”.

L’attuazione del “Piano” di aiuti, il famoso Piano Marshall, “ vuol dire il ritorno all’ordine nelle nazioni, vuol dire eliminare ogni causa di guerra e le nazioni europee saranno delle collaboratrici di pace nell’ordine economico”. De Gasperi poi puntualizzava: “Questo è il calcolo interessato dell’America, ma questo interesse coincide con il nostro interesse, con l’interesse delle nazioni europee, e con l’interesse di tutto il mondo che aspira alla pace”.

Nell’autunno del 1947 mancavano 25 milioni di quintali di grano solo “per mantenere le attuali razioni ridotte”. Ma senza l’America, spiegava De Gasperi, che “ci avesse dato grano e carbone (gratis) non saremmo riusciti a salvamento”.  Alleati dunque a schiena dritta, portatori di reciproci comuni interessi. Altro che “governo dello straniero, della miseria, della reazione, e della guerra” come sosteneva un comunicato (14 novembre 1947) del Partito comunista italiano, aderendo alle direttive di Andrej Sdanov, presidente del presidium del soviet, maturate nel convegno di Bialystok (Polonia) del 25 settembre 1947 con la presenza di Urss, Jugoslavia, Bulgaria, Romania, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia  e anche di  rappresentanti comunisti e italiani e  francesi cui venne mosso il rimprovero di “non avere sufficientemente sviluppata l’azione diretta delle masse organizzate” e di essersi “baloccati troppo con le tattiche parlamentari”.

Anche allora, come oggi, le gravi emergenze da affrontare richiedevano “concordia nazionale”. Quanto meno questa era la aspirazione di De Gasperi il cui partito, la Dc, tendeva “ad interpretare le esigenze e le sofferenze della Patria”. L’appello dello statista trentino era rivolto a tutte le categorie del Paese. Agli operai (“non avete nulla da temere, rappresentiamo il progresso e la evoluzione delle classi operaie”); alla borghesia agiata (“non siate sordi, non siate ostinati, il lavoro chiede la sua parte e l’avrà, riconoscetelo, collaborate anche con il vostro sacrificio”); ai grandi proprietari terrieri (“dimostrate con i fatti seguendo l’esempio di molti industriali che hanno creato istituti di carattere sociale, case e istituzioni protettive per i loro lavoratori. Nella bonifica e nella piccola proprietà sta la salvezza della classe agricola dell’Italia”); ai ceti medi (“chiediamo di essere consapevoli della precarietà della loro sorte. Essi non hanno altra sicurezza che un regime d’ordine, di stabilità e di libertà”).

Le maggiori difficoltà da De Gasperi, con l’aiuto di Einaudi, Pella, Scelba ed altri eccellenti statisti, furono superate. Anche oggi un po’ più di “concordia nazionale” di fronte a una multiforme crisi che viene giudicata la più grave dal dopoguerra, sarebbe essenziale per far fonte ai problemi concreti, senza perdersi in sterili dialettiche oratorie.


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