In quanto tali anche le imprese del comparto culturale e creativo potranno beneficiare di alcune delle misure previste nel Dl Aiuti. Ecco perché nell’analisi di Stefano Monti, partner di Monti&Taft
Nonostante la grande rilevanza che nel Dl Aiuti viene garantita alla dimensione energetica del nostro Paese, il testo prevede misure che si estendono a gran parte dei nostri settori produttivi. Tra tali misure, alcune possono avere anche un impatto diretto sul comparto delle Industrie Culturali e Creative, sebbene alle ICC non venga associato uno specifico “pacchetto”, e sebbene il riferimento diretto a tale comparto produttivo sia rinvenibile esclusivamente all’articolo 23, recante Misure Urgenti a sostegno delle sale cinematografiche e del settore audiovisivo.
È però utile ribadire, e mai come in questo settore è necessario, che a prescindere dall’oggetto della loro attività, le imprese culturali e creative sono, appunto, in primo luogo “imprese”. In quanto tali, dunque, anche le imprese del comparto culturale e creativo potranno beneficiare di alcune delle misure previste in tale decreto.
Data la grande rilevanza che sempre più frequentemente viene conferita al rapporto tra cultura e tecnologia, risulta quindi particolarmente importante la maggiorazione del credito di imposta per investimenti in beni immateriali 4.0, e la collegata previsione di un credito di imposta per la formazione associata al 4.0, che, come si legge dallo stesso articolo che lo dispone è stato riconosciuto per “rendere più efficace il processo di trasformazione tecnologica e digitale delle piccole e medie imprese, con specifico riferimento alla qualificazione delle competenze del personale”.
Si tratta di interventi che vanno in una direzione importante, soprattutto per il settore culturale e creativo.
Tale comparto, infatti, eccezion fatta per quelle imprese che, nei fatti, operano in un mercato ibrido, come ad esempio i produttori di videogames, è spesso caratterizzato dalla presenza di risorse umane altamente specializzate, ma in comparti molto distanti dall’ambito tecnologico così come dall’ambito economico.
La previsione di misure volte a finanziare, seppur indirettamente, un progressivo incremento delle competenze è dunque un’opportunità che il settore culturale dovrebbe intercettare con estrema rapidità. Dalla connessione tra cultura e tecnologia, potrebbero infatti nascere interessanti sviluppi di “mercato”, ed altrettanto interessanti intuizioni per avvicinare sempre più la cultura alle persone, e per rendere i consumi culturali sempre più frequenti tra i nostri cittadini.
Altra azione di grande interesse, sebbene ciò avvenga in modo indiretto, è la previsione di un Fondo per il potenziamento dell’attività di attrazione degli investimenti esteri.
In ambito di attrazione degli investimenti, infatti, il nostro sistema culturale e creativo potrebbe giocare (e giovare di) un ruolo centrale. Molte delle nostre esperienze produttive in ambito ICC, infatti, sono rappresentate da MPMI, con bassissimi livelli di capitalizzazione, con un modesto volume d’affari, e con un’organizzazione scarna, quando non fondata sulle dinamiche tipiche dell’autoimpiego.
Eppure, a fronte di tali condizioni, spesso le nostre ICC sviluppano servizi e prodotti che, se opportunamente finanziati e sostenuti anche da attente capacità di management, potrebbero ambire a trovare un più ampio mercato, sia domestico che internazionale.
A partire da queste evidenze, dunque, il duplice ruolo delle ICC risulta di immediata comprensione: da un lato infatti esse potrebbero di certo beneficiare della maggiore disponibilità di capitali di investimento, dall’altro, però, potrebbero rappresentare, proprio per gli investitori esteri che si intende incrementare, una valida opportunità.
Si avrebbe, in sintesi, l’effetto combinato di due fattori: da un lato la presenza di maggiori disponibilità in termini di capitali di investimento implicherebbe una maggiore probabilità di crescita da parte di alcune delle nostre ICC; dall’altro, la probabile crescita di tali imprese, potrebbe favorire a sua volta l’offerta di capitali esteri, attratti dai potenziali ricavi.
Senza approfondire poi i meccanismi di natura più tecnica, che servirebbero ad illustrare le modalità indirette attraverso le quali le ICC potrebbero potenzialmente trarre beneficio dalle altre previsioni inserite nel Decreto, l’analisi di queste tre sole disposizioni, al di là delle opportunità per le ICC, lascia emergere una riflessione che riguarda più il comparto che il decreto stesso.
L’analisi di questo decreto, infatti, così come l’analisi delle principali misure adottate in questi anni a sostegno del settore privato, definisce un periodo di grande opportunità per il settore culturale e creativo. Opportunità che, tuttavia, per essere colte, presuppongono una necessaria evoluzione industriale del comparto.
Le citate disposizioni in materia di Industria 4.0, infatti, sono opportunità nel momento in cui un’impresa, a fronte di tali investimenti, può ambire ad incrementare la propria capacità di “stare” sul mercato, incrementando il fatturato e migliorando il proprio posizionamento competitivo.
Allo stesso modo, la disponibilità di capitali di investimento è un’opportunità nella misura in cui le imprese cui tali capitali sono rivolti riescono a definire, progettare, e gestire gli investimenti, il che presuppone la presenza di competenze manageriali.
Questi presupposti, invero, non sono assenti nel nostro tessuto produttivo culturale e creativo. Sono però presenti a macchia di leopardo, con casi di eccellenza che si alternano a strutture organizzative del tutto inadeguate a logiche industriali.
Il miglioramento di queste condizioni non può essere delegato al settore pubblico. È in capo agli operatori. Ed è giusto che sia così. Durante i prossimi anni si avvicenderanno numerose opportunità di crescita per il settore, ma sono le imprese che costituiscono quell’eterogeneo aggregato che chiamiamo “industrie culturali e creative” a doverle cogliere.
Tra queste, la più grande di tutte è quella di trasformare, adeguamento dopo adeguamento, il comparto in un settore realmente “industriale”, in grado di mantenere intatte le caratteristiche peculiari del prodotto, e anzi valorizzare ancor più tali caratteristiche, ma strutturando il proprio lavoro, le proprie competenze, e le proprie attività, in modo che queste possano partecipare alla competizione anche con gli altri settori.
A molti operatori culturali queste riflessioni potranno risultare provocatorie. Ma in fondo non si tratta che delle condizioni essenziali che si accetta allorquando si decide di “entrare nel mercato”.
E che ci piaccia o no, questa è l’unica strada disponibile per lo sviluppo.