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Tutto quello che può andare storto con il Dma

L’anno prossimo il pacchetto di regole che tenterà di ingabbiare le Big Tech entrerà in vigore, ma molti a Bruxelles sono preoccupati per una mancanza di personale, i ricorsi delle società, e i margini di movimento che gli Stati membri non vogliono abbandonare, in barba alla volontà accentratrice della Commissione. Chi punta a un dialogo pacifico avrà difficoltà a ottenerlo, da entrambe le parti…

“Ci saranno contenziosi, senza dubbio. Siamo preparati, ma vorremmo una discussione costruttiva con le piattaforme piuttosto che una discussione conflittuale”. Nella parole del direttore Digital Economy & Coordination dell’Unione europea, Gerard de Graaf, è racchiusa la preoccupazione della Commissione per la reazione che le Big Tech potrebbero avere una volta entrato in vigore il Digital Markets Act (Dma). Per la sua entrata in vigore bisognerà aspettare ancora un anno, ma alcuni suoi effetti li stiamo già imparando a conoscere. Così le grandi aziende tecnologiche iniziano a prepararsi, studiando metodi per non finire sanzionate, consapevoli di come spesso la Commissione abbia subito sconfitte importanti nei tribunali. Per questo de Graaf, che dal mese prossimo sarà il nuovo capo dell’ufficio europeo in California, preferisce il confronto pacifico alla lotta.

Quest’ultima, infatti, non è facile da vincere. Con il Dma sono sorti una serie di problemi di carattere generale, che spaventano anche i più strenui difensori del pacchetto con cui l’Ue intende ingabbiare i vari Google, Apple, Microsoft, Amazon e Meta. Lo ha ricordato anche Andreas Schwabs, l’eurodeputato tedesco che ha spinto per una riforma che poco è piaciuta agli Stati Uniti visto che andava a discapito delle sole aziende americane, in una lettera inviata alla Repubblica Ceca, presidente di turno dell’Ue. “La nostra priorità comune” è l’attuazione delle regole, il cui mancato adempimento rischia di “compromettere” il Dma causando “danni irreversibili al mercato unico digitale”. In particolare, Schwabs teme che le nuove regole non vengano sostenute dalle risorse che meritano. Un esempio riguarda il personale da assumere: l’eurodeputato vorrebbe assumere 150 nuovi dipendenti, mentre per la Commissione ne basterebbero 80.

La questione del personale è collegata alla mole di lavoro che arriverà. I ricorsi da parte delle Big Tech saranno all’ordine del giorno e una prova l’ha già fornita Amazon. La società di e-commerce si è detta disponibile a parlare, ma ha già affermato che alcuni dettagli del Dma non le piacciono e sono discriminatori.

A questa preoccupazione se ne aggiunge un’altra, che interessa per lo più il ruolo che gli Stati membri dovranno svolgere in questa delicata partita. Da regolamento, l’unica a cui spetta il diritto di far rispettare le leggi e di avviare indagini contro una società è la Commissione europea. A lei spetterà l’ultima parola e a lei i tribunali nazionali dovranno presentare le ragioni che li spingerebbero ad aprire una causa contro un’azienda tech, che potranno iniziare solo dopo il placet della commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager. Tuttavia gli Stati scalpitano, convinti che una legislazione nazionale può sopperire ai buchi lasciati aperti dal Dma, e il rischio è di creare un communication breakdown tra l’organo centrale di Bruxelles e le varie ramificazioni. 

“Esistono varie restrizioni nelle politiche esistenti che non sono coperte dal Dma”, ha confermato Miranda Cole, partner di Norton Rose Fulbright, di cui è capo dell’ufficio di Bruxelles, con un passato in Microsoft. L’esempio che porta è quello degli app store, che praticano comportamenti ritenuti abusivi eppure non coperti dalla nuova legislazione europea.

Ecco allora che, mentre l’Unione europea prova a trovare una soluzione ai suoi problemi, per le Big Tech si presentano tre strade davanti, tutte e tre percorribili seppur in diverso modo. A riportarle su Politico è un partner della Damien Geradin, che ha sede nella capitale belga. La prima è di carattere conciliante, aprendo al dialogo con le autorità per risolvere i contenziosi senza mettere in mezzo gli avvocati. La seconda strada è invece quella più tortuosa, con un braccio di ferro tra istituzioni e società che può essere risolto solo da una sentenza di un giudice. La terza è di carattere misto, forse la strada che con più facilità verrà intrapresa. Al dialogo e la disponibilità a trattare, necessari per convivere nei prossimi anni, rimarrà sempre la possibilità di far valere la propria voce e, quindi, non cedere di fronte ad alcuni punti. Questioni che dimostrano come il Dma è solo un punto di partenza nella sfida che l’Ue ha lanciato alle aziende tecnologiche.


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