La Libia rischia l’escalation, le divisioni interne si inaspriscono e lo stallo istituzionale rischia una deriva violenta. Gli Stati Uniti chiedono di disinnescare potenziali infiammabilità, anche attraverso l’Onu e l’impegno degli alleati. Il tema dell’energia e della stabilità generale interessa Washington, che vuole elezioni e distensione
L’amministrazione Biden ha diffuso un comunicato tramite il dipartimento di Stato in cui si dice “profondamente preoccupata per le nuove minacce di scontri violenti a Tripoli” e chiede “a tutte le parti un’immediata distensione”. La stabilità e la de-escalation in Libia sono oggetto delle attenzioni di Washington, perché quanto accende nel Paese nordafricano può avere ripercussioni di carattere più ampio. Sia nelle dinamiche regionali, sia in quelle che concernono il mondo energetico.
Su quest’ultimo aspetto: la Casa Bianca ha provato a convincere l’Arabia Saudita ad aumentare le produzioni, ma per ora i risultati sono stati limitati — e anzi da Riad sono uscite recentemente delle indicazioni a proposito di una potenziale necessità di ridurre addirittura gli output. La Libia è un produttore petrolifero, e in mezzo allo scombussolamento del mercato prodotto dalla guerra russa in Ucraina quel milione di barili giornalieri potenziale che Tripoli può arrivare a produrre ha un peso anche maggiore.
Anche recentemente i campi pozzi sono stati occupati da forze riconducibili al signore della guerra di Bengasi, Khalifa Haftar, creando preoccupazioni internazionali che gli Usa hanno espresso chiaramente attraverso l’inviato speciale per il dossier, l’ambasciatore Richard Norland, anche con l’obiettivo di sensibilizzare gli alleati sul dossier – come spiegato su Formiche.net da Dario Cristiani, GMF, la Libia è una responsabilità transatlantica su cui gli Stati Uniti cercano una forma di burden sharing.
Grazie anche ad alcune mosse sponsorizzate dagli Emirati Arabi Uniti (una nuova nomina al vertice della petrolifera NOC, assestamenti guidati tra i centri di potere interno), il petrolio libico è tornato a fluire sul mercato a ritmo di 700mila barili giornalieri. Tra le varie cose, va segnato che gli emiratini hanno portato (non senza interessi diretti) il contribuito significativo per soddisfare le richieste americane.
Al di là delle questioni di valore più strategico, Washington nella sua dichiarazione stressa il tema dei civili e dello stabilizzare il Paese per spingere lo sviluppo libico, per evitare derive violente – che potrebbero anche far saltare un generale clima di distensione tra gli attori esterni, come gli Emirati appunto, ma anche Turchia ed Egitto, e in misura relativa la Russia (concentrata su altro, ma con forze sul campo attraverso il Wagner Group che ha dato supporto alle ambizioni di Haftar negli anni passati).
“La stragrande maggioranza dei libici – scrive il dipartimento di Stati – vuole scegliere la propria leadership in modo pacifico attraverso le elezioni. Chiediamo a coloro che rischiano di essere ancora una volta trascinati nella violenza di deporre le armi e in particolare esortiamo i leader libici a impegnarsi senza indugio per individuare una base costituzionale per le elezioni presidenziali e parlamentari”.
Washington ha già ventilato l’ipotesi di superare l’attuale stallo istituzionale – prodotto dalla presenza di un esecutivo uscente che non vuole uscire guidato da Abdelhamid Dabaiba, e da quello entrante che non riesce a entrare di Fathi Bashaga. Per Norland, potrebbe essere creato un vettore politico-diplomatico chiamato “Mechanism for Short Term Financial, Economic and Energy Dependability” o “Mustafeed”. Questo meccanismo – simile alle ipotesi che circolano anche in altre cancellerie, come spiegato su queste colonne da Daniele Ruvinetti (Med-Or) – potrebbe fornire una funzione pseudo-governativa a breve termine fino allo svolgimento delle elezioni.
Gli Stati Uniti hanno anche annunciato che amplieranno gli appelli alla calma e alla ripresa delle elezioni durante il briefing e le consultazioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 30 agosto sulla Libia. “L’instabilità in corso – continua State – ci ricorda l’urgente necessità di nominare un nuovo Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la Libia, che riprenda gli sforzi di mediazione, con il sostegno unificato della comunità internazionale”.
Nella serata di lunedì, la milizia che risponde agli ordini di Haftar ha dichiarato di aver abbattuto “un drone non identificato” che sorvolava la base aerea di Benina a Bengasi. Secondo alcune fonti non confermabili, il drone abbattuto era un Reaper e sarebbe stato colpito con un sistema Pantsir russo. A Bengasi pare dovesse recarsi in visita Norland: e dunque, il drone veniva usato per perlustrazioni prima della visita — per ora annullata — dell’ambasciatore americano? Restando nel campo delle speculazioni: chi ha azionato il sistema anti-aereo, gli uomini di Haftar oppure quelli della Wagner che sono presenti nell’area? E ancora: non solo gli Stati Uniti usano i Reaper in Libia, ma anche Italia e Francia (e potenzialmente Regno Unito).