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Cina e India litigano sul Dalai Lama

L’India ha offerto un elicottero militare per uno spostamento del Dalai Lama nel Ladakh, dove è aperto un contenzioso con la Cina. Per Pechino si tratta di un ennesimo strappo, con Nuova Delhi accusata di interferire in dossier interni cinesi. Sul Tibet si ripropongono le sensibilità esposte a Taiwan

L’India ha schierato mercoledì un elicottero militare per facilitare un viaggio di Tenzin Gyatso, il 14esimo Dalai Lama. L’elicottero, un Dhruv dell’Aeronautica militare indiana (IAF), ha accompagnato il leader spirituale da Leh a un monastero del XV secolo vicino a Lingshed, uno dei villaggi più remoti del Territorio dell’Unione del Ladakh, dove si è recato in visita nell’ambito del suo primo spostamento da Dharamshala (dove si trova il Tibetan Government-in-Exile TGiE) dall’inizio della pandemia.

Che l’icona mondiale della lotta pluridecennale dei tibetani contro il dominio e la prepotenza nazionalista cinese si muova con un elicottero della IAF è una questione interessante se viene inserita in un contesto che riguarda la visita della Speaker Nancy Pelosi a Taiwan.

Nuova Delhi ha diffuso le immagini di Gyatso con gli ufficiali e il personale militare indiano ed è sembrata apparentemente sbeffeggiare Pechino, che in passato ha ripetutamente espresso il suo disappunto per il fatto che il governo indiano offra facilitazioni al guida buddista.

Tra India e Cina ci sono più tensioni che relazioni, che sono sfociate nell’aprile-maggio 2020 in uno scontro militare lungo la Linea di controllo effettiva (la LAC, nel Ladakh orientale), e che hanno rischiato di avviare derive difficilmente controllabili tra due potenze emergenti tra cui la questione al confine è solo uno (forse il più visibile) degli elementi di contrasto.

L’ultima mossa del governo di Nerendra Modi è arrivata a pochi giorni dalla visita di Pelosi a Taipei, la quale ha scatenato la reazione violenta della Cina. Pechino ha da tempo ha violato lo status quo dell’isola dichiarando la volontà di “riannessione” entro il 2049 (termine che cela un’alterazione storica da parte della narrazione di Pechino, perché Taiwan non è mai stata parte della Repubblica popolare cinese).

Il Partito/Stato cinese considera il Tibet e Taiwan come “questioni centrali” e ha ripetutamente sottolineato che la sua sovranità su entrambi non è negoziabile.

La visita del monaco buddista tibetano è anche la prima a Leh, capoluogo del Ladakh, dagli scontri di due anni fa. La telefonata del primo pinistro indiano al Dalai Lama in occasione del suo 87Esimo compleanno la scorsa settimana aveva già irritato Pechino, che aveva chiesto a Nuova Delhi di astenersi dall’utilizzare la questione del Tibet per interferire negli affari interni della Cina. Nuova Delhi aveva risposto sottolineando che la politica del governo indiano è quella di trattare il Dalai Lama come un ospite d’onore nel Paese.

Il Dalai Lama vive in India da quando, nel marzo 1959, fuggì dal Palazzo del Potala di Lhasa per sfuggire all’esercito cinese che aveva ormai occupato il Tibet. È stato un convinto sostenitore della non violenza e della libertà e ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1989, ottenuto anche sulla base delle politiche di richiesta di una “vera autonomia” – non l’indipendenza dal governo cinese – per il Tibet. Pechino, tuttavia, continua a definirlo un “separatista” e lo accusa di condurre una campagna per dividere la Cina.

In passato, il governo cinese aveva ripetutamente chiesto a Nuova Delhi di chiudere gli spazi offerti al governo tibetano in esilio con sede in India. La reazione alla visita di Pelosi, sebbene aggressiva, ha mostrato anche dei limiti della Cina. L’arrivo dell’americana a Taipei ha dimostrato quanto Pechino fosse sensibili a certe dinamiche senza però la capacità o la volontà – per ora – di spingersi fino alla mossa estrema. Questo, al di là della potenza muscolare messa in show sulle acque dello stretto taiwanese, può essere vista come una debolezza da sfruttare per i rivali del Dragone.

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