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L’Afghanistan un anno dopo (e nei prossimi anni) secondo il gen. Arpino

Il Paese potrebbe trovarsi in uno di quei lunghi intervalli che hanno caratterizzato la sua storia. Per ora dobbiamo riconoscere che, per quanto divisi e sotto pesanti sanzioni, i vincitori dopo vent’anni sono “loro”, i talebani, e che probabilmente si sente tale anche buona parte dell’etnia pashtu. Tutti gli altri, Occidente compreso, sono da classificarsi tra i perdenti

Un anno e mezzo prima del disastroso ritiro ferragostano dall’Afghanistan, alla notizia che il Segretario di Stato Mike Pompeo aveva firmato a Doha un accordo unilaterale tra Usa e Talebani, su Formiche.net scrivevamo: “…e così i Talebani, dopo aver costretto i Russi al ritiro dopo 10 anni di combattimenti e 13 mila morti, con un’altra guerra durata il doppio hanno vinto anche sulla Nato, gli Stati Uniti e le coalizioni da loro chiamate alle armi. C’è qualcun altro che ci vuol provare? Abbandonando al proprio destino tutto ciò che è stato faticosamente costruito, dopo aver chinato il capo non ci resta che augurare loro il medesimo successo anche contro lo Stato Islamico ed al –Qaeda, sempre che abbiano davvero la compiacenza di volerli combattere. E magari, visto che sono così forti, anche contro i clan che riforniscono mezzo mondo di oppio ed eroina”.

C’erano, come si vede, delle domande implicite che chiedevano risposte, ed altre più esplicite, come: “Ora la guerra è destinata a terminare? E’ davvero maturato il tempo per andarcene? Nonostante le migliaia di soldati addestrati e l’impegno civile profuso, tutto tornerà come prima?”. Oggi dalla data di quell’articolo sono trascorsi due anni e mezzo, mentre un anno esatto è trascorso dal disastro dell’uscita improvvisa unilateralmente decisa da Joe Biden. Le risposte ai quesiti, purtroppo, ci sono quasi tutte, e le rimanenti possiamo facilmente dedurle dai fatti. Per avere una visione della situazione locale, oggi non è nemmeno necessario condurre analisi troppo approfondite, cosa che risulterebbe comunque impossibile. I Talebani al potere sono decisamente avari di indicazioni attendibili e la stessa stampa internazionale, dopo le ghiotte pagine di colorita avventura facilmente compilate nell’immediato della bagarre, ha di fatto trascurato il panorama Afghanistan. Ora qualcosa ricomincia comparire e, sebbene si tratti in genere di “colore” locale, è più che sufficiente per confermarci le più aspettative più fosche.

Scorrendo velocemente la stampa nazionale, possiamo leggere frasi come quelle che, di seguito, abbiamo provato a virgolettare. La vita a Herat (la Repubblica, 11 agosto 2022): “…Herat è la meno afghana delle città afghane, è quello che l’Afghanistan sarebbe stato senza le sue mille guerre. E però, il primo bambino che incroci non ha libri, nello zaino, ma solo plastica. Non sta tornando da scuola. Sta frugando nella spazzatura. Perché la guerra, qui, non è affatto finita… Nel 2001 era alla fame un afghano su tre…., un anno fa, un afghano su due. E ora, con le sanzioni contro i talebani, è alla fame un afghano su uno. La guerra ha solo cambiato le armi”.

L’ultima promessa tradita dell’Occidente (The Watcher Post, 12 agosto 2022): “…Non avremmo mai dimenticato – dicevamo – gli afghani che avevano creduto in un Paese nuovo e democratico, sopra tutto le donne che avevano sperato nell’istruzione e nel lavoro e che di colpo precipitavano di nuovo nel Medio Evo del burqa e dell’assenza di diritti. Noi ce ne andavamo, loro restavano alla mercé di ritorsioni e abusi… Invece ce ne siamo dimenticati. Presi dalla pandemia, dall’inflazione, dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, dell’Afghanistan non parliamo più”.

Con i talebani e senza più diritti (Articolo 21, 12 agosto 2022): “…Qualche lacrima per i bambini lanciati al di la del muro di recinzione dell’aeroporto di Kabul, un po’ di indignazione per gli aerei in fuga dalla nuova Saigon stipati come carri bestiame e poi è calato il silenzio. Era scritto che i Talebani riportavano le pratiche più odiose, razziste, machiste (continuate voi l’elenco)…e così è stato”. E poi, ancora: “…occorre leggere bene le statistiche che parlano di un calo delle vittime di violenze belliche: la pax talebana diventa repressione mirata, sparizione forzata, galera per gli oppositori, per chi non viene ritenuto fedele alla morale, per i giornalisti”.

Per ciò che riguarda il futuro del Paese, il più assertivo è Domani (13 agosto 2022), che così si esprime: “…Le contraddizioni in seno al movimento islamista-pashtun che ha preso il potere non sono state risolte. La tensione fra la fazione moderata del mullah Baradar, protagonista dei negoziati di Doha e attualmente vicepremier, e quella più estremista degli Haqqani è rimasta intatta… Il governo è un esercizio di equilibrismo, con la rete Haqqani che ha ottenuto il ministero dell’Interno e quello per i Rifugiati per Sirajuddin e Khalil, ricercati dagli Stati Uniti per terrorismo. L’uccisione dell’emiro di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri ha acuito ulteriormente i problemi, perché il capo jihadista si trovava sotto la protezione degli Haqqani…. Se il governo dell’emirato islamico prendesse distanze dal terrorismo islamista, è possibile che ulteriori fazioni talebane, a cominciare dal clan Haqqani, si rivolgano allo Stato Islamico (Isis) come opzione più fondamentalista”.

Il futuro, quindi, appare se possibile ancora più nero del presente: è così che, un anno dopo, vedono l’Afghanistan alcuni giornalisti che proprio in questi giorni ci sono stati. Non abbiamo “scelto” le testate di cui sopra, ma solo puntato il dito a caso su Google e riportato qualche frase saliente. Sono tutti della stessa opinione e noi, che non ci siamo stati, dobbiamo credere a queste loro constatazioni. A chi, invece, volesse scaldarsi il cuore con un filo di speranza, consigliamo di leggere EXIT TRAGEDY, un libro recentissimo di Maria Clara Mussa e Daniel Papagni. Sono giornalisti di guerra che l’Afghanistan (e sopra tutto il suo popolo) lo conoscono bene, per esserci stati a lungo ed in più occasioni.

In conclusione, nella migliore delle ipotesi oggi, dopo un anno, il Paese potrebbe trovarsi in uno di quei lunghi intervalli che hanno caratterizzato la sua storia. Per ora dobbiamo riconoscere che, per quanto divisi e sotto pesanti sanzioni, i vincitori dopo vent’anni sono “loro”, i talebani, e che probabilmente si sente tale anche buona parte dell’etnia pashtun, che in maggioranza vive nelle aree tribali, fuori dalle grandi città. Tutti gli altri, Occidente compreso, sono da classificarsi tra i perdenti. Sarà un lungo intervallo, nel corso del quale certamente ci sarà chi proverà a trarne qualche vantaggio.

Ma, purtroppo, i fatti del passato ci raccontano che negli “intervalli” tra una guerra e l’altra gli Afghani non sono mai riusciti a trovare qualcosa di meglio che combattersi tra loro.                

(Photo by Mohammad Rahmani on Unsplash)



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