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Letta paga dazio, Meloni dorme tranquilla, Salvini meno. Diamanti sui leader

Il sondaggista di You-Trend spiega che “la composizione delle liste è un lavoro arduo. Ma nei gruppi parlamentari del Pd molto più equilibrio rispetto a cinque anni fa”. E nel centrodestra? “La Lega ne uscirà con le ossa rotte, Forza Italia leadership indebolita”. Mentre i 5 Stelle sono ormai “asserragliati nel fortino, non escludo nuove alleanze con i dem, magari sui territori”

“La composizione delle liste è uno dei mestieri più infami che ci possano essere. E i dissidi nel Pd non mi meravigliano”. Giovanni Diamanti, co-fondatore dell’agenzia di sondaggi You-Trend e analista politico prova quasi un sentimento di compassione verso il segretario dem, Enrico Letta, all’indomani delle polemiche innescate dalle esclusioni eccellenti o dai piazzamenti in collegi impossibili di pezzi da 90 come il costituzionalista Stefano Ceccanti. Eppure, rispetto a cinque anni fa, “nei gruppi parlamentari ci sarà molto più equilibrio”.

È un equilibrio che, però, costa caro al segretario dem.

L’aspetto più interessante sarà capire la derivazione correntizia dei candidati. A ogni modo, ribadisco che a confronto di quando le liste vennero composte dall’allora segretario del Pd, Matteo Renzi, c’è molta più omogeneità. Sicuramente c’è una forte prevalenza dell’ala sinistra.

Rinunciare, o comunque confinare in posti in cui non ci sono chance, nomi come Ceccanti e Amendola non è particolarmente lungimirante, no?

È sempre difficile commentare le singole scelte del segretario. Va tenuto presente il contesto in cui Letta si trova a operare: il numero dei seggi è stato drasticamente ridotto e ci sono tanti parlamentari uscenti che in qualche modo devono essere riposizionati. Ed è evidente che questo comporta non pochi scontenti.

Quanto valgono, alla luce del sistema elettorale, le candidature “territoriali”?

A ben guardare molto poco, sia nei collegi che al proporzionale. Conteranno quasi esclusivamente i “voti di lista”.

Lei sostiene che le candidature dem di 5 anni fa fossero meno equilibrate, ma il contesto era profondamente diverso. A partire proprio dal Pd.

Certo, Renzi era reduce da un congresso nel quale era risultato vincitore con il 70%. Ciò non toglie che la composizione delle liste fosse molto più figlia di logiche correntizie.

Si aspetta scontenti anche nel centrodestra?

Assolutamente sì, sebbene gli screzi saranno probabilmente meno evidenti. Il Pd è un partito che tradizionalmente ha una dialettica interna molto presente. Ma la Lega dalla composizione delle candidature ne uscirà con le ossa rotte, anche se rispetto al Pd c’è una tradizione di ruolo del capo molto presente dunque non prevedo deflagrazioni. Forza Italia ha una leadership molto indebolita, ha perso dei pezzi all’indomani della caduta del governo Draghi, ma non è un partito che ha tradizione di polemiche interne.

Meloni non ha di questi problemi.

La leader di Fratelli d’Italia è l’unica ad avere la pressoché matematica certezza di rieleggere tutta la sua pattuglia parlamentare, che sarà destinata probabilmente a raddoppiare alla luce dei consensi stimati. È peraltro l’unica che ha l’imbarazzo della scelta e che può permettersi di fare qualche scommessa.

Per il Terzo Polo di fattura renziana-calendiana che risultato prevede?

Non certo un exploit anche perché, nonostante la loro narrazione sia quella della novità assoluta, il terzo polo c’era già stato nel 2008 con l’Udc e nel 2013 con Mario Monti. Detto questo, chi ci ha davvero guadagnato è stato Matteo Renzi che, dall’isolamento, si è ritagliato un ruolo importante in termini strategici riuscendo a confermare (con ogni probabilità) parte della sua pattuglia parlamentare.

I 5 Stelle, in preda a continue polemiche, che prospettive hanno?

Si sono asserragliati nel fortino. Rimarranno stabili attorno al 10%. Ma, a questo punto, risulterà difficile erodere loro qualche consenso. Non escludo, comunque che, specie sui territori, si possa ristabilire un asse con il Pd.

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