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L’Unione europea, Rushdie e la scelta sui pasdaran

L’attentato alla vita dello scrittore Salman Rushdie, l’accordo sul nucleare tra Stati Uniti e Iran e il ruolo delle istituzioni europee nel possibile dialogo con i pasdaran merita una riflessione non banale. Cosa ne pensa Riccardo Cristiano

Nelle ore in cui il mondo si dice sconvolto dall’attentato alla vita di Salman Rushdie e la vicinanza almeno ideale dell’assalitore alla causa dei pasdaran appare evidente non solo dall’atto ma anche dai suoi archivi e profili, la stampa specializzata sostiene che emerga la disponibilità, coordinata dal responsabile della politica estera europea Borrell, di favorire proprio i pasdaran per consentire un accordo con l’Iran sul nucleare. Tra gli scogli che ancora impediscono il ritorno al trattato sul nucleare iraniano vi è quello della richiesta iraniana di togliere i pasdaran o almeno le loro aziende (moltissime) dalla lista nera statunitense dei soggetti terroristi. Così Borrell avrebbe proposto, stante la non disponibilità di Washington a togliere loro e le loro aziende dalla lista nera, di pensare a una non sanzionabilità di soggetti non statunitensi che abbiano transazioni economiche con i pasdaran iraniani. È quanto emerge dalle dichiarazioni critiche fatte da Defense of Democracies, think tank basato a Washington.

La coincidenza temporale con l’attentato alla vita di Rushdie colpisce, sebbene Tehran abbia negato ogni connessione o relazione con Hadi Matar, l’attentatore che intendeva uccidere Rushdie. Resta interessante approfondire questa non connessione, considerato che la guida suprema della rivoluzione iraniana, ayatollah Khamanei, non solo ha rinnovato più volte nel corso degli ultimi anni la fatwa di Khomeini contro Rushdie, colpevole di aver scritto il suo celeberrimo “Versi satanici”, ma consentito l’incremento della ricompensa per chi uccidesse Rushdie da 600mila a 3 milioni di dollari. Non sono prove a carico, certo, ma elementi che dovrebbero indurre a riflettere sull’opportunità di quanto si attribuisce a Borrell in merito ai pasdaran. Non può essere considerato una prova neanche il fatto che il quotidiano notoriamente vicinissimo al regime iraniano, Kayhan, abbia pubblicato un elogio di Hadi Matar, dicendo di baciare le sue mani.

No, neanche questa è una prova di una partecipazione del regime e dei pasdaran all’attentato. Ma aumenta l’urgenza di comprendere, anche quanto ha affermato la principale autorità sciita libanese, lo sceicco Ahmad Kabalan, il paese d’origine di Hadi Matar, l’attentatore. Certo, non accoglie con favore l’attacco commesso da Hadi Matar, ma ha dichiarato, stando a quanto riferito dalla stampa libanese: “Salman Rushdie è una figura povera e da quattro soldi che, attraverso la storia, non smette mai di fabbricare resoconti falsi e ipocriti, di calunniare la nostra eredità, di scagliare frecce avvelenate di odio contro i musulmani e la loro eredità […] Il suo libro ‘I versi satanici’ è un’opera satanica, frutto del desiderio occidentale di sfigurare l’immagine del Profeta e del Corano e l’essenza della religione”.

Anche qui, nessuna prova di coinvolgimenti criminali, ma la testimonianza di quale pensiero è stato imbevuto il giovane attentatore nato 24 anni fa, cioè più di dieci dopo la fatwa di Khomeini. Questa visione del mondo è certamente khomeinista, condivisa dal suo successore ayatollah Ali Khamenei, dai pasdaran e dal segretario generale di Hezbollah, Hasan Nasrallah. Questa religione, che si chiama khomeinismo, si basa su un principio, il principio del governo insindacabile, nel nome e per conto di Dio, da parte del giureconsulto, cioè del capo religioso, la guida della rivoluzione iraniana, al tempo Khomeini oggi Khamenei. Questo potere deriverebbe direttamente da Dio e nessuno può discuterlo. I pasdaran, i guardiani della rivoluzione, sono semplicemente il corpo fondato e prescelto da lui, da Khomeini, per esportare la sua rivoluzione e garantirla all’interno; nei comportamenti, nei desideri, come anche nelle azioni delle istituzioni e dei singoli cittadini.

Questa concezione del potere e della religione per molti musulmani ferisce l’islam, perché trasferisce su questa terra la salvezza di Dio, come ha scritto splendidamente Raymond Aron, proponendo “di chiamare religioni secolari le dottrine che prendono nell’anima dei nostri contemporanei il posto della fede evanescente e situano, quaggiù in un lontano futuro, nella forma di un ordine sociale da creare , la salvezza dell’umanità”. È per salvare l’umanità che Khomeini ha emesso la sua sentenza religiosa contro Rushdie? È per eseguire il suo indiscutibile comando e contribuire a salvare l’umanità in nome di un ordine sociale da creare che ha agito Hadi Matar? Senza il sostegno diretto o indiretto dei pasdaran? Può essere. Ma le parole dello sceicco Ahmad Kabalan spiegano un mondo.

Questo nesso tra religione e violenza parla di una violenza indispensabile per realizzare qui sulla terra la salvezza dell’umanità e il professor Antoine Courban, sul sito libanese Ici Beyrouth, lo ricollega alla lezione di Eric Voegelin “che aveva decostruito il nucleo religioso dei grandi movimenti totalitari di massa, apparsi nel 20° secolo e che stanno facendo un ritorno molto più rumoroso e pericoloso oggi. Se nel 20° secolo gli attori di tali movimenti erano i regimi politici, nel 21° secolo è chiaro che gli attori non statali sono in prima linea in questi movimenti. Il jihadismo fondamentalista, sciita o sunnita, appartiene a questa categoria, così come alcune reti di cristiani “reborn”e vari gruppi razzisti e/o neonazisti”.

Questa tesi è di estremo rilievo perché ci aiuta a immaginare il ruolo tutto speciale dei pasdaran nel fondamentalismo sciita; una sorta di via di comunicazione tra il regime teocratico iraniano e ambienti, gruppi, propaggini all’estero.

Se il mondo cristiano capisce bene di cosa parliamo almeno per via del famoso “Lo vuole Dio” (Deus vult) con cui papa Urbano II nel 1095 convocò dal concilio di Clermont la prima crociata, anche noi europei dovremmo sapere, come osserva sempre il professor Courban, che questa visione toglie identità alla vittima. Cosa vuol dire: Salman Rushdie non è Salman Rusdie? No, è un volto del male, un male indicibile: l’infedele, l’occupante, l’apostata. “Ci sono voluti circa otto secoli all’Europa occidentale per uscire da una simile camicia di forza mentale. Se oggi sembra esserci uno scontro di civiltà, un tale scontro avviene tra passato e modernità. Questo è ciò di cui essere consapevoli quando ci si trova di fronte a un uomo o a un gruppo coinvolto in una simile spirale”.

La consapevolezza… Questo conta, scegliendo cosa fare. Qui non si tratta di dichiarare guerra a qualcuno, ma di consentire utili ingenti a chi propone la “religione secolare” di Raymond Aron. L’inserimento di questo confronto nella più ampia discussione sul nucleare la rende parte di un tutto, che richiede però piena consapevolezza di ogni singola implicazione.


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