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Lo sceriffo e la stella. Ciccotti racconta il capolavoro “Mezzogiorno di fuoco”

Il 30 luglio 1952 usciva “Mezzogiorno di fuoco” (High Noon) di Fred Zinnemann, con Grace Kelly e Gary Cooper. Un intramontabile cult movie presente nella nostra filmoteca mentale. Onestà, giustizia, solitudine, omertà, calvario, amore. Un capolavoro del Novecento. Una nota dello storico del cinema Eusebio Ciccotti

Non riesco a trovare una scena o un’inquadratura insistita, imperfetta, poco originale. Un attacco di montaggio prevedibile. Una espressione, uno sguardo, un gesto di Gary Cooper (Willy Kane), Grace Kelly (Fowler Kane), Katy Jurado (Helen Ramirez), sovresposti o indecisi. Prima di buttare giù questa nota ho rivisto Mezzogiorno di fuoco (High Noon, 1952) di Fred Zinnemann, sulla impeccabile sceneggiatura dell’esperto Carl Foreman (dal racconto The Tin Star di John W. Cunningham), con la musica di Dimitri Tiomkin, e la sua presto famosa ballata, che il pubblico fischiettava all’uscita dalla sala. Quando un testo letterario, un film, una musica non ti stanca all’ennesima lettura o ascolto, ma addirittura ti suggerisce nuovi “piaceri del testo”, allora sei finito dentro l’intrigante “bosco narrativo” di un capolavoro, direbbe Umberto Eco.

Gli orologi della vita e della morte

Mezzogiorno di fuoco, forse il miglior film western del Novecento, non si può raccontare nel dettaglio altrimenti il suo profumo svanirebbe dalla confezione che lo spettatore deve, invece, egli solo, scartare pian piano e aprire in assoluta solitudine. Centellinando il tempo di ben nove diversi orologi, tanti sono gli interni (stazione ferroviaria, barberia, ufficio del giudice, saloon, ufficio di Kane, hall dell’hotel, interno della Ramirez, casa del vecchio sceriffo, casa del consigliere comunale), inquadrati circa venti volte, che scandiscono gli 85 minuti (omaggio metalinguistico alla lunghezza del film: tempo del racconto e tempo degli avvenimenti, coincidono, direbbe Gérard Genette, in una sorta di diretta ante litteram), dalle 10:35 a mezzogiorno, che si prevede “di fuoco”, nell’azzeccata traduzione italiana (mentre in inglese è semplicemente High Noon, “mezzogiorno in punto”). A quell’ora, dunque, ci sarà uno scontro a fuoco, forse un duello al sole, qualcuno morirà, qualcuno vivrà.

Luna di miele rinviata

Vi basti sapere che dopo pochi minuti dal suo matrimonio con la delicata Amy Fowler (l’angelica Grace Kelly), celebrato dal giudice Percy Mettrick (Otto Kruger, pavido e dialettico al punto giusto), di domenica mattina, Willy Kane (con il volto pacifico ma deciso di Gary Cooper), giunto a fine mandato come sceriffo, e già sul carretto con la bionda consorte avvolta in un delizioso cappellino, verso la luna di miele, deve fare retromarcia. In paese sta arrivando, “con il treno di mezzogiorno”, il temuto Frank Miller (Ian MacDonald, volto giustamente sfigurato e sguardo truce), graziato dalle patrie galere. Ad attenderlo suo fratello Ben e due suoi amici pistoleri: cinque anni prima formavano una temibile banda che teneva in pugno il paese. Tutti e quattro devono vendicare la condanna e la prigione di Miller, che fu ad opera dello sceriffo Kane e del giudice Mattrick.

Viaggio di nozze rinviato

Il senso del dovere fa sì che lo sceriffo Willy Kane, ancora in servizio sino alla mattina dopo, quando arriverà il nuovo sceriffo, rinunci al viaggio di nozze. Non scappi. Riattaccata la stella sul gilet, decide di affrontare Miller, e i suoi compari, che vengono per vendicarsi e rispadroneggiare nel villaggio. “A cosa serve scappare, ci raggiungerebbe comunque”, risponde alla moglie Amy che lo implora di andar via con lei, di fuggire, “se mi ami”. Il giudice Mettrick fa le valige di gran carriera “vi ricordo che voi arrestaste Miller ma lo condannai io. Giurò di tornare per uccidervi, Kane!” e gli consiglia di andarsene.

Da solo

Kane, va di casa in casa, di locale in locale, in chiesa: nessuno vuol far parte della “squadra di agenti giurati” che intende metter su per opporsi ai quattro pistoleri. Ora è nel modesto soggiorno del suo vecchio sceriffo, modello di onestà, dal quale ha imparato il mestiere, ma anche questi gli dice di mettersi in salvo. Il prete che lo ospita in chiesa, interrompendo l’omelia domenicale, non sa che posizione prendere se non quella del vago pacifista, (“la legge del Signore dice di non uccidere. Non so cosa dire”). Il sindaco, presente tra i fedeli, prende la parola smorzando, con un discorso shakespeariano, l’entusiasmo dei pochi favorevoli a prendere le armi, riconoscendo che “Kane è onesto e ha salvato a suo tempo il villaggio dai delinquenti”, ma ora è meglio che vada via “per il vostro bene e per il nostro”. Solo un vecchio ubriacone e un ragazzo si offrono, ma Kane gentilmente declina la richiesta. Persino sua moglie, di religione quacchera e quindi contro ogni violenza, non intende rimanere. Con le sue valigie, sale sul treno di mezzogiorno, quello dal quale scende Miller, atteso dai complici. Ma Emy, già seduta al suo posto, sentiti i primi colpi di fuoco, mentre il convoglio si sta muovendo, schizzerà fuori dal treno correndo in soccorso di suo marito.

Filosofia, teologia e cinema

High Noon è un film di pura filosofia novecentesca. È un saggio sul bene comune, sulla responsabilità, sul dialogo, sul diritto di difendere la legge. Un pamphlet contro l’omertà, l’egoismo, la deresponsabilizzazione. Willy Kane appare, nella sceneggiatura di Foreman, a tratti, persino una Figura Christi. È abbandonato da tutti; va di casa in casa: alcuni non gli aprono, altri gli negano l’aiuto. Al saloon lo deridono; in chiesa qualcuno prova a sostenerlo ma poi la maggioranza sceglie di evitare l’aiuto accettando l’arrivo dei banditi (“Barabba!”). Il suo attraversare più volte il villaggio deserto, sotto l’inclemente sole, è una sorta di via crucis. Willy si sta preparando per la sua domenica di passione.

Deluso dalla legge

Quello che ci cattura, in un film che ha settanta anni, è la grammatica e la sintassi a scatola cinese, in cui ogni inquadratura e sequenza sono un continuo arricchimento del racconto. Ci bastano poche inquadratura e poche battute per sapere tutto del passato, del presente e della psicologia dei personaggi “minori”. Così, per esempio, della Ramirez (la messicana Jurado parla con lo sguardo, come la nostra Claudia Cardinale), proprietaria del saloon e dell’hotel, ex amante di Miller, ex amante di Willy, attraverso i suoi grandi occhi neri, impavidi e sfidanti, e le labbra carnose (che Zinnemann ci dà nel primissimo primo piano), indoviniamo il suo passato di errori e illusioni, il suo tentativo di redimersi ancora in corso (una Maddalena in ricerca). Ci basta lo sguardo deluso, i baffoni bianchi e stanchi del vecchio sceriffo Howe (Lon Chaney Jr,. una recitazione tutta in sottrazione) che in casa siede su una poltrona, come un pensionato in attesa della fine, per capire le storture del diritto di allora come di oggi: “Tu condanni uno, poi lo mettono fuori, viene e ti uccide. A cosa è valso il tuo lavoro?”.

Stile

Le innovative soluzioni registiche e di racconto di Zinnemann influenzeranno un autore esperto come l’Haward Hawks di Un dollaro d’onore (1959) e il giovane Sergio Leone, che dilaterà i tempi e i primi piani di Zinnemann nella trilogia del dollaro. Zinnemann, per quanto dentro il sistema hollywoodiano dei codici standardizzati dei primi anni Cinquanta, si permette soluzioni d’avanguardia. L’uso insistito del p.p.p.; la camera ad altezza del terreno per inquadrare uomini a cavallo in arrivo o in fuga; camera agganciata sui carri in soggettiva; diverse angolature basso-alto nei primi piani e nelle mezze figure  (qui Zinnemman paga il tributo a Orson Welles); l’inquadrare i binari a filo terra in c.l.l. (come Dziga Vertov aveva osato nel 1929). Zinnemann inaugura anche due topic del western ripresi poi da tutti, incluso Leone: sparare ad una lampada a petrolio da provocare lo sviluppo (non vero) di una fiamma e quindi l’incendio, qui, di una stalla; il fuggire in sella del proprio cavallo, accucciato sulla groppa, tra un gruppo di cavalli incitati alla corsa come copertura.

Il finale più bello del cinema western

Per chiudere, con quella gru, in plongée, in campo lungo sulla piazza del villaggio che si ripopola gradualmente dei vigliacchi compaesani. Tutti chiusi in casa, lo avevano lasciato solo ad affrontare i quattro temuti pistoleri; ora escono per osservare Frank Miller steso al centro della piazza, l’ultimo a cadere, e complimentarsi con Willy. Ma lui e la moglie, che sparando gli ha salvato la vita (Grace Kelly, finalmente, nel finale, fa pulsare l’impeto nei suoi occhi chiari, come farà due anni dopo diretta da Aldred Hitchcock in La finestra sul cortile), se ne vanno senza salutare nessuno, tranne il ragazzo. La stella di latta di sceriffo, Kane, l’ha appena gettata nella polvere, come a dire “voi, omertosi e vigliacchi, non meritate la Legge in cui non credete, preferite vivere nella paura e nella corruzione”.


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