Bomba WSJ: di fronte a un inverno che si prospetta durissimo, il governo di Scholz intende rimandare la chiusura delle ultime tre centrali nucleari ancora in funzione. Un ripensamento sostenuto dalla maggior parte dei tedeschi e fortemente sofferto per Verdi e socialdemocratici al governo
Stando a quanto riporta il Wall Street Journal, la guerra di Vladimir Putin in Ucraina sta facendo crollare anche l’ultimo tabù della politica tedesca. Dopo il rigetto del legame energetico con la Russia – concretizzato nella chiusura al Nord Stream 2 – e il cambio di passo sulle spese militari – una rottura rispetto agli anni di pacifismo e al divieto di spedire armi nelle zone di conflitto –, Berlino si appresta a fare marcia indietro sulla denuclearizzazione con un’estensione, seppur temporanea, della vita delle tre centrali nucleari ancora in funzione.
La decisione non è ancora stata adottata formalmente dal governo di Olaf Scholz e probabilmente richiederà un voto in Parlamento. “Tre alti funzionari governativi hanno dichiarato che alcuni dettagli sono ancora in discussione”, scrive il WSJ, aggiungendo che per la decisione finale occorre attendere l’esito di uno stress test sulla sicurezza energetica, in arrivo nelle prossime settimane. Ma secondo quei funzionari, la conclusione è scontata. “I reattori sono sicuri fino al 31 dicembre e ovviamente lo saranno anche dopo”, ha detto uno dei funzionari alla testata americana.
Si tratta della seconda valutazione in materia condotta dal governo Scholz. La prima, pubblicata a marzo dal ministero dell’economia guidato dal co-leader dei Verdi Robert Habeck, era tanto approssimativa sui motivi quanto lapidaria nelle sue conclusioni: rimandare la chiusura delle ultime centrali nucleari oltre il 31 dicembre 2022 non avrebbe aiutato la sicurezza energetica del Paese. Chi era di parere opposto (tra cui i liberaldemocratici della Fpd al governo) aveva già intravisto tra le righe l’ideologia dei Verdi, che hanno sempre fatto dell’antinuclearismo un cavallo di battaglia.
Mesi dopo, le carte in tavola sono cambiate. Il Cremlino ha tagliato la fornitura attraverso il Nord Stream 1 al 20% della capacità effettiva, di fatto assicurando che la Germania, ancora troppo dipendente dal gas russo, attraverserà un inverno durissimo tra razionamenti e recessione. Il gonfiarsi della crisi ha costretto il governo di Scholz a riconsiderare il no al nucleare. Aiutano anche gli ultimi sondaggi, secondo cui tre quarti dei tedeschi oggi tifano per l’estensione. Da qui il via al secondo studio e le parole di Scholz, che ha promesso di rispettarne il risultato.
La Germania, che puntava sul gas russo a buon mercato per produrre elettricità e completare la transizione energetica, ha già dovuto prendere una serie di misure estreme per compensare le riduzioni di metano, tra cui riaccendere le centrali a carbone, salvare la compagnia energetica statale Uniper, imporre una tassa alle famiglie per pagare all’industria il sovrapprezzo di gas e predisporre un piano di razionamenti per evitare il collasso del proprio sistema economico. Al momento le ultime tre centrali coprono il 6% del fabbisogno energetico nazionale, e tenerle in funzione significa liberare più metano per altri impieghi.
La situazione è così grave che anche i leader politici dei Verdi stanno parlando pubblicamente di una “breve estensione” della generazione di energia nucleare. Come Ludwig Hartmann, capogruppo parlamentare dei Verdi dell’industrialissima Baviera (patria di una delle tre centrali in questione, che copre il 20% del fabbisogno energetico), e la vicesindaca di Monaco, Katrin Habenschaden. Anche i conservatori all’opposizione – la CDU dell’ex cancelliera Angela Merkel, che ha accelerato l’abbandono del nucleare dopo il disastro di Fukushima nel 2011 – adesso sono favorevoli a prolungare la durata di vita delle centrali. “Non è che tutti quelli che continuano a usare l’energia nucleare nel mondo sono più stupidi di noi”, ha chiosato il leader Friedrich Merz in una recente intervista radiofonica.