La scomparsa a 91 anni dello storico ultimo leader sovietico evidenzia come a Mosca sia mancato un nuovo Gorbaciov e quanto politicamente e umanamente incolmabile sia la differenza con Putin. L’analisi di Gianfranco D’Anna
Se ne va un uomo di pace, ne rimane uno di guerra. Da Michail Gorbaciov a Vladimir Putin la maledizione di Mosca sembra riprecipitare all’alternativa fra stalinisti e neozaristi.
Quando arrivò al vertice della già profondamente in crisi superpotenza sovietica e si rese conto dei rischi quotidiani che scoppiasse accidentalmente una immane guerra nucleare, Gorbaciov non esitò un momento a telefonare al Presidente più anticomunista mai insediatosi alla Casa Bianca e disse semplicemente a Ronald Reagan: “smettiamola di giocare alla fine del mondo e diamoci la mano”. Reagan, che di attori e commedianti se ne intendeva, lo guardò negli occhi e capì che Gorvaciov era sincero e faceva sul serio.
Divennero amici come due adolescenti ed imposero ai loro generaloni, cultori del first strike e affetti dalla sindrome del dottor Stranamore, il primo trattato di controllo e disarmo atomico firmato da Stati Uniti e Unione Sovietica.
L’ex segretario generale del Pcus ed ultimo Presidente dell’Unione Sovietica, premio Nobel per la pace, regista di una impossibile perestroika, si rese conto dell’irriformabilità di un sistema oscillante fra dittatura e corruzione, ma fu talmente abile politicamente e popolare fra i russi da superare indenne il tentativo di rigurgito comunista col golpe dell’agosto del 1991 e con un coraggio storico di incommensurabile valore non esitò a dichiarare conclusa l’esperienza dell’Urss.
La speranza è che scomparsa di Gorbaciov induca alla riflessione i russi sul destino del loro Paese, al quale dopo l’implosione del regime sovietico è mancato soprattutto il continuatore della perestroika e della glasnost, riforme e trasparenza. La straordinaria esperienza liberalizzatrice e pacificatrice di Gorbaciov, dal ritiro dall’Afghanistan alla caduta del muro di Berlino, non é assolutamente paragonabile al sanguinario e subdolo ventennio di Putin.
Come dimostra l’assurda guerra all’Ucraina, l’attuale Presidente russo è a tutti gli effetti il successore di Leonid Breznev e Yurij Andropov, a loro volta continuatori dello stalinismo.
L’agghiacciante ritorno al passato di una guerra fredda sul filo della minaccia nucleare, evidenzia tutto l’inalterato back ground ed il dna che Putin ha del Kgb, la terribile polizia segreta sovietica della quale è stato a lungo agente di primo piano.
È storicamente lo stesso contesto ideologico-burocratico-stalinista che impedì qualunque tentativo di riformare ed umanizzare il regime.
La saggezza e la lungimiranza di Gorbaciov, il suo sorriso e il suo sguardo schietti, non mancheranno tuttavia soltanto alla Russia ma all’intera umanità perché, come testimonia il profondo dolore e il sincero cordoglio di tutto il mondo per la scomparsa del grande leader, il suo é stato e rimarrà un grande esempio concreto di come la pace sia davvero possibile solo se l’amore per la convivenza civile e la non violenza superino l’amore per il potere.