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Per chi scoppia in Italia la bomba di Mosca. La fotografia di Sisci

La guerra diventa sempre più difficile per la Russia, e forse la sua fine si avvicina. Difficile che il presidente russo Vladimir Putin possa uscire indenne o rafforzato da questa situazione. Ciò ha conseguenze dirette per l’Italia. Francesco Sisci spiega quali

L’attentato contro la figlia dell’ideologo russo Alexander Dugin ha portato alla luce profonde crepe create dalla guerra in Ucraina. Tali crepe hanno riflessi che vanno ben oltre la Russia. Mentre non è ancora chiaro chi siano i terroristi, è chiaro però che gli apparati di Mosca dovranno concentrare più uomini e risorse sul fronte interno, contro attacchi nelle grandi città o in Crimea, distogliendole dal fronte ucraino, peraltro lunghissimo, di quasi 2mila km.

La guerra quindi diventa sempre più difficile per la Russia, e forse la sua fine si avvicina. Difficile che il presidente russo Vladimir Putin possa uscire indenne o rafforzato da questa situazione. Ciò ha conseguenze dirette per l’Italia. La coalizione di centrodestra, data per vincente alle prossime elezioni del 25 settembre, ha due raggruppamenti, FI e Lega, con rapporti quantomeno ambigui con Putin.

Se FI e Lega perdono il loro riferimento in Putin domani, o fra sei mesi, un anno, rimangono orfani. Saranno così in balia dei capricci dei prossimi governanti russi che saranno eredi dei dossier italiani e molto probabilmente contro Putin e i suoi amici. Solo tale prospettiva oggi taglia le gambe a tante ambizioni del leader della Lega Matteo Salvini e di quello di Forza Italia Silvio Berlusconi. Peraltro, secondo i sondaggi, al voto i due dovrebbero arrivare dopo il loro alleato di coalizione, Giorgia Meloni di FdI.

Quindi dopo il voto FI e Lega dovrebbero essere più deboli di oggi e poi, fra qualche tempo, dopo la sconfitta di Putin, esserlo ancora di più. Ma già oggi le loro relazioni con Putin rendono difficili i rapporti con i due leader italiani. Questo di sponda indebolisce anche il Pd. Esso è un partito ibrido nato in sostanza per sbarrare il passo a Berlusconi, difendere l’europeismo e sostenere un sistema elettorale maggioritario, perno di un’alternanza di governo fra destra e sinistra.

Se Berlusconi e i paladini dell’anti europeismo (la Lega) si indeboliscono il Pd dovrebbe trovare un nuovo senso. Inoltre, questa legislatura ha sfracellato il principio del maggioritario e dell’alternanza. Tutti si sono alleati con tutti, quindi non ci sono più parametri elettorali iniziali.

Il Pd ha provato a iniziare la campagna lanciando strali contro Meloni “fascista”. Ma a questi lei non ha risposto con accuse di “comunismo”, che avrebbero legittimato la vecchia retorica. Senza risposte a tono la storia del “fascismo” non ha grande presa. Poi, l’attuale campagna del Pd su diritti, matrimonio LGBT, immigrati ecc è fiacca. È così in tempi normali perché riguarda minoranze che talvolta neppure votano (gli immigrati). In tempi di guerra, con il caro gas, parlare di diritti non riesce a incidere.

Inoltre, sui diritti il Pd forse ha perso il treno più importante, come ha notato Concita De Gregorio su Repubblica: la destra “maschilista” ha un leader donna mentre la sinistra “femminista” ha solo leader uomini. Naturalmente se il Pd riesce a ottenere il 20-25% e non farsi prendere da una crisi di nervi e cambia linea, può resistere ma in condizioni diverse. Ma oggi l’insieme di questi elementi è una pietra al piede del Pd, cosa con riflessi sistemici. Il Pd infatti non è un partito come un altro. Ha rappresentato 30 anni di continuità di governo e di amministrazione pubblica. Infatti i suoi votanti spesso lavorano per lo stato.

L’indebolimento del Pd può lasciare lo stato senza un importante filo di continuità, a meno che il meglio del Pd traghetti e si ricicli nella nuova amministrazione. Di fatto così fece il Pd con la Dc, dopo la fine della guerra fredda, e lo stesso fece la Dc con i quadri fascisti, dopo la seconda guerra mondiale. In parte questo può avvenire con il Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda, dato al 10% segno di un travaso già in corso, ma non basta.

Il perno di tutto resta FdI di Meloni, data per vincente. Lei e il suo partito avranno bisogno di governare, ereditando e digerendo (non facile) il sistema Pd. FI e Lega, così tanto fragili, potranno scommettere solo nella loro capacità di influire e condizionare FdI. Tenteranno quindi di manipolarla e fagocitarla. Hanno strutture, uomini, risorse per farlo, mentre FdI qui è debole.

Se, come è possibile poi, FdI e centrodestra non avranno una maggioranza assoluta, saranno condizionati dal Terzo Polo. Renzi è un giocoliere della politica con quattro deputati figuriamoci se ottiene il 10% in parlamento.
Facile in queste condizioni che FdI senza grande esperienza di governo, senza classe dirigente possa fare errori anche molto gravi.

Meloni dovrebbe quindi prepararsi non solo a vincere, ma anche a gestire la vittoria in modo nuovo, proponendo qualcosa che non sia una rimbiancata del vecchio centrodestra berlusconiano. Sarebbe aiutata se la guerra finisse presto. Si abbasserebbero i prezzi del gas, cadrebbe l’inflazione e i suoi alleati sarebbero intimiditi. La confusione di oggi a Mosca forse è un buon segno per lei.

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