La notizia della spia russa si inserisce nel pieno di una campagna elettorale estiva, novità assoluta nei 161 anni di vita unitaria. Una campagna elettorale come sempre animata da tanti argomenti irrilevanti come le ingerenze russe e cinesi nell’esito del voto. Il commento di Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence
A leggere le vicende della spia russa Olga Kolobova alias Maria Adela Kuhfeldt Rivera sembra di scorrere uno dei romanzi più riusciti di John le Carré, di quelli scritti prima della caduta del Muro di Berlino, il cui trauma descrisse due anni dopo ne La pace insopportabile, romanzo breve ma folgorante. I tempi lunghi, le atmosfere soffuse, le triangolazioni spaesanti, il doppio e triplo gioco richiamano gli ingredienti dello spionaggio classico: ideologia, sesso e soldi. È mancata per fortuna la terza esse: sangue.
Non è un salto all’indietro ma è l’eterno “culto e mistica del servizio segreto”, che nel 1974 veniva descritto da Victor Marchetti e John D. Marks, due ex agenti della Cia che sapevano benissimo di cosa scrivevano. Lo spionaggio compiuto direttamente dalle persone, quello che oggi definiamo human intelligence, è eterno come la storia dell’uomo. Che l’Italia sia stata un crocevia di spie dalla fine della Seconda guerra mondiale non è ignoto a nessuno. Anche adesso per la nostra collocazione geografica e geopolitica continuiamo a esserlo, perché nella globalizzazione gli alleati non sono amici e gli amici non sono alleati.
Figuriamoci i nemici, o i presunti tali. Nel marzo 2021 il caso di Walter Biot, che rischia l’ergastolo, ci pose davanti all’evidenza: i russi ci spiano. Anche in questo caso, si tratta di chi è stato scoperto ma tutto lascia supporre che chi svolge attività di spionaggio nel nostro Paese siano in diversi, alcuni operanti praticamente in modo ufficiale nelle ovattate stanze delle ambasciate. In questo caso, l’obiettivo dell’articolata attività di spionaggio era rappresentato da informazioni della Nato, attraverso gli aitanti militari della VI flotta americana nel Mediterraneo, di stanza a Napoli dove ancora si avvertono gli echi lontani della “tamburriata nera”, della quale James Senese, musicista insigne, è uno degli esiti meglio riusciti.
Non vorrei scomodare il nome mitico di Kim Philby, ma come nelle più consolidate tradizioni, Maria Adela è volata a Mosca dal 2018 e quindi non è più perseguibile sull’italico suolo.
La notizia della spia russa, che essendo donna viene inevitabilmente definita “Mata Hari”, si inserisce nel pieno di una campagna elettorale estiva, novità assoluta nei 161 anni di vita unitaria. Una campagna elettorale come sempre animata da tanti argomenti irrilevanti come le ingerenze russe e cinesi nell’esito del voto.
Quanto a disinformazione basta e avanza buona parte della propaganda dei partiti, che, in un elettorato che al 75 per cento non riesce a comprendere una frase complessa in italiano, determina quello che proprio John le Carré aveva chiaramente spiegato: “Viviamo in un’epoca di straordinario autoinganno dove la verità sta da una parte e la percezione pubblica della verità esattamente dall’altra”.