I corsi e i ricorsi storici del lungo potere assoluto di Putin fanno emergere un costante ricorso alla strategia della tensione. Un crescendo che allarma l’intelligence occidentale. L’analisi di Gianfranco D’Anna
È davvero il nucleare l’epilogo degli orrori del curriculum di Vladimir Putin? A rilanciare l’angoscia delle analisi delle intelligence occidentali è il contesto e la ratio dell’attentato a Darya Dugina. Protagonista diretto delle strategie della tensione del Kgb sovietico, il presidente russo avrebbe scalato il potere sfruttando il terrore e la paura della popolazione con una serie preordinata di attentati terroristici e una volta conquistato il Cremlino eliminando sistematicamente concorrenti, avversari e oppositori.
Sembra di rivedere le immagini dei palazzi di Mosca fatti saltare in aria da sedicenti terroristi ceceni fra la fine del 1999 e la prima elezione presidenziale di Putin, nel marzo del 2000. O rileggere le cronache dell’uccisione della giornalista Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006, e delle indagini sull’avvelenamento col polonio radioattivo dell’ex agente segreto di Mosca fuggito a Londra, Alexander Litvinenko, oppure del più recente avvelenamento dell’oppositore Alexei Navalny, miracolosamente sopravvissuto.
Si tratta soltanto dei casi più noti che spiccano fra un’impressionante catena di presunti suicidi di interi nuclei familiari di oligarchi e alti dirigenti statali. Una serie di precedenti che per quanto riguarda i palazzi di Mosca fatti saltare in aria vennero attribuiti ai servizi segreti russi con lo scopo di scatenare il consenso all’elezione di Putin e giustificare il successivo intervento in Cecenia. Tesi confermata da vari politici di alto profilo, tra i quali il tycoon moscovita Boris Berezovsky e il senatore americano John McCain e successivamente confermate prima di essere avvelenato da Litvinenko nel libro Blowing Up Russia: Terror From Within. Nel 2013 Berezovsky venne trovato morto nel bagno della sua residenza vicino a Ascot, nel Regno Unito.
Una lunga scia di morte con la costante del cui prodest putiniano, che rafforza anche in occasione dell’attentato alla figlia di Dugin il consenso che iniziava a incrinarsi attorno al presidente russo, impelagatosi in una guerra d’invasione contro l’Ucraina che da sei mesi sta terremotando l’economia, le forze armate e gli stessi servizi di sicurezza. Un attentato “provvidenziale”, quanto insospettabile, subito attribuito a una fantomatica agente ucraina super-woman, che fa prevalere all’interno delle faide di potere del regime la fazione dei duri, capeggiata da Putin, risolutamente decisi a proseguire la guerra contro Kiev.
L’angoscia che traspare dalle segretissime analisi dell’intelligence community degli Stati Uniti, del Regno Unito e dei Paesi europei riguarda appunto i timori che, vista la disumana escalation alla strategia della tensione di volta in volta scatenata per “coprire” e rilanciare il potere di Putin, la cinica eliminazione di Dugina serva in realtà per giustificare un crescendo di violenti attacchi contro l’Ucraina in maniera da provocare un’altrettanto violenta risposta di Kiev.
Una risposta ucraina che – questo l’estremo terrore paventato dai dossier dell’intelligence occidentale – possa servire da paravento per attribuire a Kiev un incidente nucleare alla centrale di Zaporizhia. Un incidente di relativamente ridotte dimensioni, eventualmente ordito dall’11° direttorato del Gru, il più sofisticato servizio segreto militare russo che avrebbe mobilitato scienziati, esperti e tecnici dell’agenzia nazionale dei programmi nucleari e delle centrali atomiche Rosatom e del sistema nucleare strategico del paese. L’obiettivo, oltre alla contaminazione del cuore produttivo dell’Ucraina, spacciando il tutto per un incidente provocato da “irresponsabili” bombardamenti o da sabotaggi dei soliti, ma insistenti “terroristi” ucraini, è soprattutto quello di far scattare l’intervento dei soccorsi sanitari internazionali che imporrebbero una tregua e sancirebbero lo status quo della situazione militare, con una linea di demarcazione. Il che salverebbe la faccia a Putin, terrebbe in piedi, anzi potenzierebbe, il suo regime e potrebbe inoltre determinare la sospensione delle sanzioni occidentali.
Ma creare continuamente tensioni e risolverle fino al livello del rischio dell’apocalisse nucleare é un limite che nessuno, né in occidente, né nella stessa Russia può ulteriormente consentire al Putin. Ecco perché, nonostante l’apparenza di un regime coeso che di volta in volta si auto rafforza sulla pelle dei russi, secondo alcuni analisti il tempo di Putin sta per scadere. Una scadenza provocata dal corto circuito di strategie delle tensioni. Con un singolare precedente storico che riguarda l’allora agente sovietico Putin in servizio a Dresda: nonostante tutte le tensioni indotte e le tragedie provocate nella Germania dell’Est dal Kgb e dall’affiliata Stasi, l’affermazione degli ideali di libertà e di democrazia fu inarrestabile. Così come lo saranno gli ideali di pace e di coesistenza civile in Europa.