A un giorno dalla fine delle esercitazioni militari avviate da Pechino in risposta alla visita a Taipei di Nancy Pelosi, la Repubblica Popolare ha pubblicato il suo libro bianco su Taiwan. Nel quale dichiara la missione storica del Partito di riunificare l’isola, proponendo il modello “un Paese, due sistemi” già usato per Hong Kong, senza però escludere il ricorso alla forza
Le forze armate della Repubblica Popolare Cinese hanno completato “con successo” le proprie esercitazioni militari intorno all’isola di Taiwan, iniziate il 4 agosto in reazione alla visita sull’isola della speaker della Camera dei Rappresentati degli Stati Uniti, Nancy Pelosi. Ad annunciarlo il Comando per il teatro orientale dell’Esercito di liberazione popolare, che ha comunque aggiunto come le forze armate di Pechino continueranno a monitorare la situazione nello stretto di Taiwan, conducendo in futuro regolari esercitazioni militari. L’annuncio ha seguito la pubblicazione da parte di Pechino di un libro bianco su Taiwan, redatto dall’Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese, e diffuso attraverso l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, nel quale il governo cinese ha dichiarato che “nulla potrà fermare la riunificazione con Taiwan”, un obiettivo per il quale Pechino è pronta, se necessario, “all’uso della forza”.
Il libro banco su Taiwan
Il documento ribadisce la posizione tradizionale di Pechino sul fatto che “Taiwan fa parte della Cina”, e si è voluto dimostrare “la determinazione del Partito comunista e del popolo cinese verso la riunificazione nazionale” ribadendo ulteriormente la posizione e le politiche del partito e del governo. “Siamo una sola Cina, e Taiwan fa parte della Cina”, recita ancora il testo, aggiungendo come questo sia “un fatto incontrovertibile, sostenuto dalla storia e dal diritto”. Per il libro bianco “Taiwan non è mai stato uno Stato, e il suo status come parte della Cina è inalterabile”.
La missione storica del Partito
Secondo il testo, la riunificazione è la missione “storica” del Partito comunista, sotto la cui guida sarebbero stati compiuti grandi progressi nelle relazioni con l’isola, con l’aumento degli scambi e della cooperazione internazionali “che hanno portato benefici tangibili a Taiwan”. Per il documento, dunque, l’obiettivo della riunificazione “non è mai stato così vicino”, e la colpa delle tensioni sarebbe del “partito democratico progressista” al potere a Taiwan che starebbe danneggiando la pace e la stabilità nell’area, minando le prospettive per una riunificazione pacifica. Aggravate da “forze esterne” che avrebbero istigato azioni provocatorie intensificando le tensioni nello Stretto contro le volontà della “comunità internazionale e le aspirazioni di tutti i popoli”. Per promuovere il processo di riunificazione “questi sono ostacoli che vanno rimossi” minaccia neanche troppo velatamente il libro bianco.
Non rinuncerà alla forza
La Cina, dunque, sarebbe pronta per una riunificazione pacifica, ma allo stesso tempo fa sapere che “non lascerà spazio alle attività dei separatisti” e che per raggiungere l’obiettivo “non rinuncerà all’uso della forza”, e si riserva l’opzione di prendere tutte le misure necessarie contro le “interferenze esterne”. “La ruota della storia viaggia verso la riunificazione nazionale, e non c’è nulla che potrà fermarla”, proclama ancora il documento, che dichiara quale soluzione al “problema” il principio di “un Paese, due sistemi”, la stessa applicata da Deng Xiaoping per le negoziazioni che portarono alla restituzione alla Cina di Hong Kong e Macao.
La reazione di Taiwan
La reazione di Taiwan non si è fatta attendere, con il ministero degli Esteri che in una nota ha respinto il modello “un Paese, due sistemi” proposto dalla Cina, dichiarando che solo i cittadini di Taiwan sono titolati a decidere del loro futuro. La precisazione di Taipei arriva in concomitanza con un’altra giornata di esercitazione da parte delle forze di difesa dell’isola, iniziate a ridosso di quelle di Pechino.
Una nuova normalità?
Taipei ha anche accusato Pechino di stare sfruttando la recente visita di Nancy Pelosi come scusa “per creare una nuova normalità e intimidire il popolo taiwanese”. I sei giorni di manovre hanno visto la partecipazione di decine di navi militari e oltre cento aerei, oltre al lancio di almeno nove missili balistici e diversi altri sistemi a medio e corto raggio. Alcune delle unità di Pechino sono anche passate vicino alle acque territoriali e allo spazio aereo di Taiwan, superando in diverse circostanze la linea mediana che separa de facto il braccio di mare tra la costa continentale cinese e l’isola.