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La strategia europea sull’Ucraina guarda al passato. Scrive il gen. Preziosa

Il nuovo concetto strategico presentato a Madrid e lo Strategic Compass approvato pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina non contengono, purtroppo, strategie innovative per far fronte all’incertezza della nuova era, anzi appaiono insufficienti per far fronte alla nuova richiesta di sicurezza dell’occidente. L’analisi del generale Pasquale Preziosa, presidente Osservatorio Sicurezza Eurispes

La guerra è un tipico fenomeno sociologico. Non sorprende quindi l’illusione persistente in ognuno di noi di conoscere il fenomeno complesso della guerra e di intuirne immediatamente soluzioni senza la fatica della riflessione e della ricerca. In un articolo apparso su Foreign Affairs (4 Agosto 2022), Alina Polyakova e Iiya Timtchenko sostengono che “with every member providing some form of assistance to Ukraine (military, humanitarian, or financial), the reality is that the alliance is already involved in the war even without ‘boots on the ground’”.

Questo concetto appare in qualche modo, illusivo e quindi potrebbe portare a conclusioni non in linea con la strategia già dichiarata dall’Alleanza Nato e dall’Unione europea (Ue) per il contrasto dell’invasione russa dell’Ucraina. La Nato per la guerra in Ucraina ha mostrato una nuova unità di intenti politici persa negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno dimostrato un grande impegno per la Difesa dell’Europa e i Paesi europei, a larghissima maggioranza, hanno mostrato una importante posizione politica contro la Russia per l’invasione immotivata dell’Ucraina con una rapida decisione di incrementare i budget nazionali della difesa. Gli aiuti dati all’Ucraina sono sia su base volontaria sia legittimati dal Diritto internazionale.

La posizione dell’Alleanza sin dall’inizio del conflitto è stata chiara: “Allied support is constrained by the imperative of non-belligerence. Nato Allies have made it clear upfront that they have no desire to directly confront Russia, hence the rejection of a no-fly zone or any other move carrying the risk of inadvertent escalation”.

La Nato, quindi, non interverrà nella guerra in corso tra l’Ucraina e la Russia, né gli aiuti militari possono configurare cosa diversa da quanto sancito dell’art.51 della carta onusiana. Vige attualmente il trattato internazionale sul commercio delle armi adottato dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2014, in cui si evoca la possibilità degli stati di intervenire solamente per fini di legittima difesa.

Il controllo degli aiuti militari dati a Kiev mira essenzialmente a razionalizzare e controllare l’afflusso degli armamenti sul territorio ucraino per evitare diseconomie e perdita di controllo degli stessi ai sensi del trattato internazionale sul commercio delle armi. La ricerca di una maggiore efficienza organizzativa nella distribuzione degli armamenti non può configurare alcun concetto di coinvolgimento diretto nella guerra in atto.

L’Ucraina non fa parte della Nato e pertanto non è un Paese cui poter applicare le clausole del trattato del North Atlantico ovvero l’Art. 5 per il mutuo supporto in caso di aggressione. Nell’ambito dei Paesi Nato comunque è possibile identificare posizioni politiche non perfettamente coincidenti tra loro.

La vecchia Europa che è lontana dal fronte ucraino esprime posizioni meno radicali (“non bisogna umiliare la Russia”) nei confronti della Russia rispetto ai nuovi Paesi Nato dell’Est europeo che portano ancora i segni del triste passato sovietico. La Turchia, pur inserita nella Nato ma non nell’Unione europea, è portatrice di interessi strategici molto diversi dal resto dell’Europa e della NATO (ha acquisito sistemi missilistici russi e oggi invece la Russia è stata individuata nuova minaccia per i Paesi Nato). Erdogan, ha saputo costruire una immagine della Turchia quale Paese cerniera con il Medio Oriente e con l’Asia e in tale ruolo si è impegnato insieme all’ONU quale mediatore per lo sblocco del trasporto del grano ucraino verso l’Africa.

È proprio l’Africa il continente più attenzionato insieme all’area Medio orientale e all’ex Jugoslavia dalla Russia, dalla Turchia e dalla Cina. In particolare, la Siria, la Libia, la Somalia, e i Balcani sono le aree sulle quali Russia e Turchia stanno intrattenendo riunioni anche ai massimi livelli per stabilire le nuove aree di influenza profittando delle difficoltà di movimento politico dell’Europa (dell’Italia) e degli USA in quei teatri paludosi governati per molta parte da autocrazie corrotte.

È un momento di grande transizione degli equilibri mondiali, dove la competizione strategica individuata e segnalata da Hockett ha preso il posto delle tradizionali guerre che rappresentano oggi solo il segnale premonitore di possibili deflagrazioni nei campi economici, finanziari, tecnologici, sanitari. Non è più possibile nella nuova era dell’incertezza continuare ad applicare paradigmi oramai decaduti dell’era precedente legata al rischio.

La guerra in Ucraina va trattata con una diversa lente strategica e politica per governare meglio le conseguenze che di qui a breve si manifesteranno. Al momento, gli unici documenti strategici elaborati dall’Occidente sono per la Nato il nuovo concetto strategico approvato di recente a Madrid e per l’Unione europea lo Strategic Compass approvata pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina.

Il primo documento ripropone una sorta di nuova Guerra Fredda con identificazione di una classica minaccia: la Russia, e una nuova attenzione verso la Cina. Il secondo documento, invece, propone dal 2025 una formazione di 5000 unità per far fronte alle emergenze europee per una difesa europea avanzata.

Entrambi i documenti, purtroppo, non contengono strategie innovative per far fronte all’incertezza della nuova era, piuttosto appaiono insufficienti per far fronte alla nuova richiesta di sicurezza dell’occidente, con la peculiarità che ogni Paese continuerà a fare investimenti tecnologici e militari prevalentemente secondo la propria agenda nazionale.

Con queste premesse, qualsiasi coinvolgimento della Nato nella guerra tra Russia e Ucraina apparirebbe una forzatura le cui conseguenze sarebbero peggiori del disastro geo strategico osservato in Libia per gli interventi militari occidentali del 2011.

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