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Ecclesia quo vadis? Vaticano uno e trino. Scrive D’Anna

Estate di passione, e non solo religiosa, per papa Francesco che fra acciacchi, boatos e smentite di dimissioni sta attraversando un momento cruciale per tutta la Chiesa. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Né più largo né più stretto: il Tevere che lambisce il Vaticano di papa Francesco rischia semplicemente di prosciugarsi, non solo in relazione alla storica distinzione laica che, all’indomani dell’elezione di Giovanni XXIII, Spadolini auspicò fra la Santa Sede e lo Stato italiano, quanto piuttosto rispetto alla millenaria successione del magistero del Romano pontefice.

“Qui si entra per amare Dio; di qui si esce per amare il prossimo”, annunciano le parole più belle e profonde mai scritte all’ingresso di una parrocchia lontana dalle mura leonine, all’interno delle quali mai come in questi ultimi anni si è avvertita una tale incertezza e confusione di ruoli e prospettive.

Dalle rivoluzionarie, ma anche improvvisate e non incardinate, dimissioni di Benedetto XVI, alla inedita esperienza della coesistenza fra il pontefice regnante e il papa emerito, all’accelerazione impressa da Jorge Mario Bergoglio ad una Chiesa Universale anchilosata sugli altari di uno spirito del Concilio mai fino in fondo realizzato, le prospettive del pontificato del primo Gesuita eletto al Soglio di Pietro sono rapidamente cambiate a causa del declinare delle condizioni di salute del quasi 86enne Santo Padre, sottoposto con piena guarigione ad un lungo intervento chirurgico, ma afflitto da una lesione al ginocchio che lo costringe a muoversi prevalentemente su una sedie a rotelle.

Fra i mal di pancia e resistenze dei tradizionalisti all’avvio delle riforme della Curia e dei dicasteri vaticani e, soprattutto nei confronti delle modifiche dei criteri di nomina di vescovi e cardinali introdotte da Francesco, la salute del papa è stata utilizzata come una sorta di grimaldello mediatico per prospettare scenari dimissionari, lanciare candidature di successione e delineare maggioranze nel prossimo Conclave.

Una nebulosa mondiale di titoli, interpretazioni e gossip giornalistici su fantomatiche e sempre nettamente smentite dimissioni papali. Ma anche un caos in parte ingenuamente alimentato dalle stesse parole, travisate e drammatizzate, e dalle iniziative del papa che fra i boatos per un viaggio a Mosca e una tappa a Kiev, ha preannunciato una visita a l’Aquila, sulla tomba di Celestino V, il primo Papa dimissionario della storia ed ha convocato per il 27 agosto un Concistoro per la nomina di 21 nuovi cardinali, 16 dei quali elettori, cioè al di sotto dell’età degli 80 anni che rappresenta il limite per partecipare al Conclave.

Mentre le smentite si susseguono, è fin troppo evidente che in ogni caso Bergoglio non si dimetterà fino a quando sopravviverà il 95enne papa emerito, Jospeh Ratzinger. Se non altro per scongiurare la paradossale e dissacrante prospettiva di avere tre Pontefici in contemporanea.

E in ogni caso il senso di tutte le risposte e le smentite di papa Francesco alle ossessive domande rivoltegli sulla mitologia ormai inarrestabile delle dimissioni immaginarie è che i “Papi passano mentre la Chiesa resta”, perché sottintende Bergoglio il “Capo della Chiesa è Cristo, non il papa”. Un Cristo che dal Calvario a Eboli, perpetuando la tradizione petrina del “quo vadis?”, in molti stanno invocando che ritorni a Roma.

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