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Come procedono gli Accordi di Abramo. Conversazione con Dentice

Gli Accordi di Abramo si sono inseriti in un contesto internazionale complicato dalla pandemia prima e dalla guerra russa in Ucraina poi, e hanno favorito una serie di integrazioni sul piano economico, commerciale e di sicurezza. Ora manca l’aspetto politico, spiega Dentice (CeSI)

“A due anni dalla firma degli Accordi di Abramo, guardiamo con grande soddisfazione ai progressi compiuti a beneficio di tutti i popoli della nostra regione”, ha scritto su Twitter l’ambasciatore Alon Bar in uno dei suoi primi messaggi appena presentate le credenziali come rappresentante di Israele in Italia. La feluca israeliana si riferisce all’intesa che ha portato alla normalizzazione delle relazioni tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, Bahrein, e successivamente ha aperto a Marocco e Sudan.

Gli accordi prendono il nome dal patriarca Abramo, profeta sia per l’Ebraismo che per l’Islam, e punto di contatto e condivisione tra il popoli ebraico e arabo. È innegabile che questa serie di intese, soprattutto a livello bilaterale ha portato un aumento di contatti e importanti miglioramenti nelle relazioni, spiega Giuseppe Dentice, a capo del Mena Desk del CeSI.

“Innanzitutto, e soprattutto, a livello economico-commerciale: basti guardare la crescita degli scambi commerciali tra Israele e Bahrein e più che altro Emirati Arabi Uniti, ma pure con il Marocco (benché ci siano altre dinamiche che hanno coinvolto anche gli Usa indirettamente, come sulla questione Sahrawi)”, continua Dentice con Formiche.net.

Su questo quadro, il Sudan è un discorso a parte: segue regole e considerazioni differenti, ci sono questioni più locali legate al percorso di transizione post-Bashir e alla necessità di intercettare nuovo capitali esteri (tutte questioni che passavano anche dal risconoscimento internazionale e dall’uscita dalla black list statunitense) e da lì poter sbloccare la possibilità di ricevere fondi e investimenti. A quello è servita la normalizzazione con Israele per Karthum.

“Se economia, commercio e investimenti vanno bene, e pure elementi legati alla sicurezza stanno in parte andando avanti, quello che manca è però la politica, perché diversi limiti impediscono il salto di qualità”, aggiunge l’analista italiano. Ci sono temi come soprattutto l’Iran e la questione israelo-palestinese che vedono gli israeliani e gli arabi degli Accordi su posizioni diverse e segnano distanze che per ora non sembra facile colmare. Parlando per ipotesi anche se Israele fosse pronto ad uno scontro frontale con l’Iran, Emirati e Bahrein (ma anche Arabia Saudita e Kuwait) cercano invece forme di distensione tattica, perché sono consapevoli di non avere forza difensiva (o offensiva) davanti a una guerra con l’Iran e temono il rischio di sommosse sciite all’interno alle proprie collettività che potrebbero destabilizzare quelle monarchie. “E poi c’è la questione Palestina, su cui ci sono nette distanze”, sottolinea l’esperto del CeSI.

“A fronte di questo — continua — sappiamo che l’unico soggetto in grado di trovare soluzioni per implementare gli Accordi sono gli Stati Uniti, ma Washington è un attore uscente più che una figura centrale. Perché è vero che gli americani intendono restare nella regione, ma un conto è farlo con un livello di coinvolgimento da remoto, un conto è essere presenti sul terreno. Una situazione che viene percepita dai Paesi del Golfo e verso la quale questi attori vogliono capire quanto gli Usa intendano ancora investire su queste intese per costruire un’architettura non solo di sicurezza ma anche politica”.

Resta che quello che potremmo definire “il sistema Abramo”, con una nota sul sistema mentale di connessione verso un futuro più disteso e più prospero, si collega a un clima di collaborazione regionale. Per Dentice, non sono stati un fattore sistemico come la pandemia prima e la guerra russa in Ucraina poi, tuttavia hanno avuto un loro contributo nello spingere indirettamente verso una serie di riaperture di dialoghi e collegamenti.

“L’Egitto per esempio ha inizialmente subìto gli Accordi di Abramo, e infatti non ne era un grande sostenitore perché si vedeva marginalizzato sul ruolo di attore dialogante con Israele, sostituito con forza dagli Emirati (anche riguardo alla questione palestinese). Il Cairo è stato portato a rivedere le proprie strategie e anche sulla base di questo sono stati aperti i canali con il Qatar o con la Turchia”, spiega Dentice.

Anche la Turchia ha adesso più interesse a ristabilire i rapporti con Israele, e Israele ha mutuo interesse di sfruttare il contesto per parlare con Ankara anche in ottica di Mediterraneo orientale. Le relazioni scorrono fluide rispetto alle tensioni di questi ultimi anni, tanto che Israele ha scelto di inviare un ambasciatore in Turchia per la prima volta dal 2018.

Anche l’Arabia Saudita ha avuto un ruolo in tutto questo, ricorda Dentice: “Gli Emirati e soprattutto Bahrein hanno accettato la normalizzazione con Israele con il beneplacito di Riad, senza difficilmente avrebbero fatto parte dell’intesa”. E adesso tra israeliani e sauditi si sono aperti canali di cooperazione sul piano securitario ed economico.

(Official White House Photo by Shealah Craighead)

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