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Meno populismo e più agenda Draghi. Paita spiega a chi guarda il Terzo Polo

“Il no piddino al jobs act? La dice lunga sul grado di confusione in cui versa il Partito democratico che ormai ha sostanzialmente perso ogni cifra riformista e si è consegnato a un atteggiamento demagogico populista”. Intervista alla parlamentare di Italia Viva

Mai al governo con i Cinque Stelle. Stronca così la proposta avanzata oggi da Andrea Orlando la parlamentare di Italia Viva Raffaella Paita, candidata al Senato per il Terzo Polo a Roma, che accusa i dem di una deriva demagogico-populista e sottolinea quel perno politico che prende il nome di agenda Draghi. E se a Roma avesse vinto Calenda al posto di Gualtieri…

Andrea Orlando ha annunciato: se vinciamo, sì ad un governo largo con Cinque Stelle e Terzo Polo. Che ne pensa?

Penso che noi non ci staremo. D’altronde la nostalgia canaglia del ministro Orlando nei confronti del Movimento Cinque Stelle è nota a tutti. Non solo perché è stato tra i fautori di quell’accordo ma perché è stato tra gli ultimi a rendersi conto che, anche dopo la caduta del governo Draghi, forse era il caso di interromperlo. Io vengo dallo stesso territorio di Orlando, la Liguria, e due mesi prima della caduta di Draghi, loro lì hanno mantenuto l’accordo con il Movimento Cinque Stelle, andando incontro peraltro ad una sonora sconfitta nella città in cui c’è più bisogno di infrastrutture, crescita e opere. Per cui in quel contesto allearsi con il M5S è stata una vera e propria follia. Quello che posso dire con certezza è che noi non siamo interessati ad accordi con il Movimento Cinque Stelle.

Il Partito democratico ha detto di voler abolire il Jobs Act. È una decisione, secondo lei, ideologica o hanno comunque un fondamento di merito?

È innanzitutto una decisione sbagliata. Poi è incredibile perché loro lo hanno votato il Jobs Act e questo tipo di intervento ha prodotto un aumento di posti di lavoro. Inoltre il racconto che viene fatto circa questo intervento è del tutto sbagliato e, come giustamente dice lei, ideologico. Mi stupisce molto, però, che una forza politica che ha votato un provvedimento oggi lo rinneghi assolutamente: la dice lunga sul grado di confusione in cui versa il Partito democratico che ormai ha sostanzialmente perso ogni cifra riformista e si è come dire consegnato a un atteggiamento demagogico populista. Ma non può che essere così perché si sono alleati con Fratoianni e Bonelli, cioè con quelli contrari a tutto e anche con quelli, voglio ricordarlo, che hanno votato 55 volte contro la fiducia a Mario Draghi.

A proposito del premier. Perché l’agenda Draghi per voi è centrale?

Il metodo Draghi è un perno, è la capacità di intervenire anche nei momenti di difficoltà del Paese, con risposte puntuali, senza demagogia e senza ipotecare il futuro delle giovani generazioni. Quindi forte attenzione ai conti pubblici, capacità di investimento, semplificazione e sburocratizzazione. Quel metodo ha consentito di avere la possibilità di accedere ai fondi del Pnrr ma ha anche impostato un lavoro, perché davvero quella data del 2026 venga mantenuta come faro. Spesso sento chiamare in causa la possibilità di modificare il Pnrr, anche da parte della Meloni.

Ovvero?

Attenzione, perché un conto è immaginare che un progetto che non va in porto venga sostituito in corso d’opera. Ma un altro conto è non traguardare l’obiettivo della messa a terra nel 2026, anche e solo per una ragione semplicissima. Tutti dimenticano che il Pnrr è a logica di avanzamento lavori: quindi o dimostriamo di essere in grado davvero di mettere a terra le opere o altrimenti semplicemente non ci daranno le risorse. Penso sia folle l’idea di prevedere ulteriori richieste di prolungamento con l’Europa, oppure di cambiamento di impostazione: piuttosto va fatto uno sforzo massimo di semplificazione e velocizzazione degli interventi, per esempio sul tema dei ricorsi, o sulla giustizia amministrativa, o sulla progettazione ma con una coerenza di impostazione.

L’Europa ha dimostrato un atteggiamento tra virgolette solidale, tramite un’impostazione nuova e noi faremmo un danno enorme a non rispettare questa tempistica, perché metteremo in qualche modo anche in discussione questo cambiamento europeo che invece deve essere valorizzato e conservato anche nel prossimo futuro.

Come giudica invece il confronto di ieri tra Letta e Meloni? L’ha visto?

Non l’ho visto. Però ho molto apprezzato l’iniziativa parallela di Carlo Calenda che si è insinuato in questo dibattito esclusivo. E’davvero incredibile che in questo momento si voglia tentare di polarizzare, anche da parte di certo sistema di informazione, la discussione perché si fa un danno al Paese. Noi dobbiamo favorire un confronto libero e aperto per approfondire le varie opzioni che sono in campo. Inoltre sono consapevole dello scopo che si prefigge Calenda e cioè raggiungere una doppia cifra che consentirà davvero di non avere Giorgia Meloni presidente del Consiglio e magari, auspicabilmente, di riportare Mario Draghi a Palazzo Chigi.

Caso Roma: come si risolvono due emergenze importanti come i rifiuti e la gestione del debito della Capitale?

Innanzitutto io voglio fare un po’ di luce sulla vicenda legata ai rifiuti. Premettendo che io sono d’accordo sulla realizzazione degli impianti di termovalorizzazione perché l’unica soluzione vera e credibile per togliere questa città dalla morsa dei rifiuti e restituirle splendore e bellezza che merita, considero il M5s responsabile in questa vicenda perché ha prospettato la crisi del governo Draghi. Ma non ho un giudizio meno tenero nei confronti del Partito Democratico. Tutto ciò deriva dall’assenza di coraggio da parte del governatore del Lazio Nicola Zingaretti che anziché fare quello che doveva fare, come fanno tutti i presidenti di Regione, cioè un piano regionale dei rifiuti, inserire l’impianto di termovalorizzazione e localizzarlo adeguatamente e seguire le procedure normali che tutti seguono, ha deciso diversamente.

Per quale motivo?

O perché i Cinque Stelle sono in maggioranza oppure perché lui non era convinto di questa scelta. Alla fine, però, ha dovuto ricorrere a un intervento di carattere nazionale che poi ha generato la crisi che sappiamo. Quindi a me preoccupano quelli che dicono no come i Cinque Stelle, ma anche quelli che non dicono no ma poi in realtà hanno le stesse responsabilità del Movimento Cinque Stelle perché al governo regionale ci sono loro e a Roma questa cosa bisogna che si sappia.

Sul debito?

Naturalmente è una questione complicatissima, ma penso che la cosa importante in questo momento sia cercare di evitare che ci siano ulteriori decisioni che aggravano la situazione. Poi, proprio a partire dal tema dei servizi pubblici locali, cominciare un ragionamento di serietà perché non è possibile che in questa città non funzioni nulla. Quindi massima attenzione ai conti pubblici, processi di risanamento il più possibile convincenti e anche coraggiosi. E poi una forte attenzione ai servizi pubblici locali, perché quando parliamo di un autobus oppure di una metropolitana o di un servizio di decoro parliamo della vita quotidiana delle persone. Ci vuole però una capacità di riforma che a un anno dal mandato di Gualtieri non vedo. Mi sono chiesta spesso in questi giorni come sarebbe stata Roma oggi se anziché la vittoria di Gualtieri ci fosse stata quella di Calenda.

Che risposta si è data?

Certamente i problemi non sarebbero tutti risolti, ma almeno ci sarebbe stata una traccia di riforme funzionali al cambiamento. Sicuramente a Calenda non sarebbe mancato il coraggio per mettere in campo queste scelte, mentre l’attuale tentennare sta accumulando un ritardo che secondo me rischia di essere davvero problematico. Insomma, adesso un bilancio definitivo non si può fare, perché ovviamente non bisogna nemmeno tagliare con l’accetta i giudizi. Però quello che posso dire io è che non vedo un cambiamento significativo a Roma e non percepisco nemmeno la direzione di marcia verso la quale si vuole andare. In aggiunta a ciò, voglio dire che lo spettacolo di gestione del potere che abbiamo visto è francamente molto mortificante. E, anche in questo caso, riguarda il Partito Democratico.

Rispetto alle esperienze terziste del passato, quale l’errore secondo lei che il Terzo Polo oggi non deve commettere?

Intanto diciamo che questa è una forza riformista e quindi con un profilo apertamente liberale, in grado davvero di mettere in campo idee e progetti convincenti per il cambiamento del Paese. La cifra del coraggio deve caratterizzare ogni nostra decisione e ogni nostra mossa per il futuro. Io le vedo ben presenti tutte queste caratteristiche. Mi sembra che alla guida ci siano due persone capaci che hanno dimostrato, quando sono state al governo, di fare cose buone per l’Italia. Da tempo non si percepiva un progetto politico ed un voto verso una consapevolezza piena della fase di difficoltà che sta vivendo il Paese. Questa volontà di fornire spiegazioni il più possibile consapevoli e il più possibile mature penso che rappresenti un dato di serietà.

@FDepalo

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