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Meloni sia prudente sui conti e i mercati le crederanno. Parla Angeloni

Non è vero che la politica monetaria espansiva è defunta, i tassi al netto dell’inflazione sono ancora negativi. Il nuovo governo usi i guanti su deficit e debito e lo spread si raffredderà. Il Pnrr? Piccoli ritocchi si possono fare ma l’impianto rimane valido. Intervista ad Ignazio Angeloni, economista presso la Robert Schuman Center of the European University Institute ed ex membro del Consiglio di Sorveglianza della Bce

 

Palla a Giorgia Meloni. L’eredità di Mario Draghi non è di quelle tascabili, magari da riporre in un cassetto. C’è un percorso per la riduzione del debito avviato, una credibilità sui mercati riconquistata e un’inflazione, almeno in parte, governata. Non è poco e nei giorni in cui lo spread Btp è tornato a correre, con i rendimenti sul titolo decennale al 4,8%, è lecito domandarsi come non buttare a mare quasi due anni di governo Draghi.

Per Ignazio Angeloni, economista presso la Robert Schuman Center of the European University Institute ed ex membro del Consiglio di Sorveglianza della Bce, i tempi avvenire non saranno facili. Occorre essere lucidi e, soprattutto, non scambiare fischi per fiaschi quando si parla di tassi.

C’è una congiuntura finanziaria che potrebbe rivelarsi poco favorevole per l’Italia. Da una parte la fine della politica accomodante da parte della Bce, con la prospettiva di nuove strette monetarie. Dall’altro un rendimento sui titoli italiani (ma anche su quelli esteri) che da aprile ad oggi è salito sensibilmente. Andiamo verso una stagione difficile o è solo un colpo di vento?

La congiuntura economica e finanziaria che si prepara è poco favorevole per tutti. E durerà. Il ciclo economico cambia soprattutto per fattori a livello globale: la parziale ritirata della globalizzazione, i beni di base che costano di più, i timori sulla guerra e le loro ripercussioni sulla sicurezza e sul benessere di tutti noi. Tutto questo porta cautela nella spesa delle persone e nei programmi di investimento delle imprese. Ci sono poi gli effetti del cambiamento delle politiche monetarie, anche qui a livello globale.

Ovvero?

Le banche centrali hanno sottostimato l’inflazione inizialmente, ora si muovono anche nel timore di perdere le loro credenziali antinflazionistiche. Il mercato teme che esse esagerino nel senso opposto, stringendo troppo quando ci sono rischi di recessione. Ma è un timore infondato. Il dibattito in corso sulla politica monetaria, non solo in Italia, perde di vista la cosa più importante.

Quale sarebbe?

La politica monetaria, in Europa e anche altrove, è ancora estremamente espansiva. Per capirlo basta guardare i tassi di interesse al netto dell’inflazione, largamente negativi e le grandezze aggregate della moneta e del credito. Lo stratosferico aumento di esse che si è andato accumulando dalla crisi finanziaria del 2007-08 a oggi è ancora tutto lì, in alcuni casi esse stanno ancora aumentando. Una massa enorme di liquidità e di debito in rapporto alla dimensione delle economie che costituisce il vero potenziale inflazionistico di cui ora cominciamo a vedere gli effetti.

Angeloni, per tanti anni abbiamo visto una crescita monetaria senza inflazione, non crede che possa essere così anche in futuro?

Se permette le faccio un paragone. Lei oggi lascia aperta la porta di casa sua. Questo vuol dire che stanotte entreranno i ladri? Non necessariamente. Forse che una porta aperta invoglia a rubare? Non tutti. Ma stia certo che se lei la lascia aperta per un poco di tempo, qualcosa del genere prima o poi succederà. L’eccesso di moneta non causa l’inflazione, la permette. L’inflazione può partire per tante altre ragioni, se la porta è stata lasciata aperta.

Il nuovo governo, con ogni probabilità a guida Meloni, si insedierà in un contesto fluido con, come detto poc’anzi, i primi cenni di nervosismo da parte dei mercati. Come garantire fiducia e credibilità a chi finanzia il nostro debito?

Mi auguro che il nuovo governo sia molto prudente nel gestire la finanza pubblica, evitando scostamenti dal tendenziale calo del debito pubblico in rapporto al Pil programmato dal governo attuale. Semmai, direi, accelerando quella riduzione, approfittando del buon andamento degli introiti fiscali. Meloni in campagna elettorale ha dato segnali incoraggianti in questo senso, in parziale contrasto con gli alleati della coalizione. Il successo elettorale le dà ora a forza di farsi valere. Se questo succede, gli aumenti dello spread avvenuti a partire dal venerdì pre-elettorale si riveleranno ingiustificati e rientreranno.

Roma e l’Europa. Il Pnrr non è in discussione, almeno nella sua natura. Ma il nuovo governo potrebbe chiedere dei ritocchi. Se ne può parlare con Bruxelles o è un rischio da non correre?

Se ne può parlare, naturalmente. La Commissione non si opporrà a eventuali modifiche al margine se ben motivate. Ma non si tratta di una questione importante.

Perché?

Perché l’impianto di fondo del Pnrr rimane valido. I principali nodi che il Paese deve risolvere, non da oggi ma da molti decenni, sono ben individuati nei principali capitoli del piano e nelle sue linee di intervento. Sono quelle le cause del declino italiano, su cui concentrare investimenti e riforme. Il passaggio dalla fase di pandemia, nella quale il piano fu definito, a oggi, con la guerra in Europa e la crisi energetica, modifica quel quadro solo in piccola parte. Non servono quindi grandi cambiamenti, semmai qualche aggiustamento da definire attraverso un dialogo pacato e costruttivo con la Commissione.

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