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Politici su TikTok. Poca innovazione, tanti rischi per la privacy

Di Gabriele Carrer e Simona Sotgiu

“TikTok da una parte segue il tuo gusto, dall’altra te lo crea”. Il sociologo ed esperto di media Boccia Artieri viviseziona lo sbarco dei politici italiani sulla piattaforma di proprietà cinese. Con un interrogativo non da poco: dove vanno a finire i dati raccolti? I problemi di sicurezza e privacy non sono pochi…

Il primo settembre inizia con uno scossone, un terremoto che scuote i cellulari dei più giovani: la classe politica italiana ha fatto un balzo in avanti verso il mondo di TikTok, un salto nel nuovo millennio popolato di video rapidi con sottofondo musicale, di domande e risposte sferzanti, duetti, dirette video con cappello e baffi virtuali, appiccicati sul viso dagli utenti che guardano.

L’avventura di Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e del Partito democratico sul social network da record (per numeri di utenti e non solo) prende il via a 25 giorni dal voto italiano. Un po’ in ritardo, suggerisce qualche utente di un altro social network, Twitter, per riuscire davvero a mettere su una strategia comunicativa efficace, ma è vero che questa è e sarà una campagna elettorale al cardiopalma.

La scelta dei leader politici di sbarcare su TikTok un senso sicuramente ce l’ha. Come spiegava Martina Carone nella video-rubrica su Formiche.net, “Politica e pop corn” (qui e qui i video), la piattaforma ha un’audience formata per oltre l’80% da giovani e giovanissimi, ed è proprio lì, quindi, che si cerca di intercettare una quota di elettori futuri o alla prima esperienza di voto. Ma funzionerà? È tutto da vedere.

A un giorno dall’ingresso su TikTok, però, sono già evidenti alcune criticità, ha spiegato a Formiche.net Giovanni Boccia Artieri, sociologo e saggista, a metà settembre in libreria con “Comunicare. Persone, relazioni, media”, scritto con Fausto Colombo e Guido Gili e pubblicato da Laterza (2022). “Prima di tutto è evidente che ci sia una difficoltà di linguaggio, perché entriamo in un canale che funziona con delle sue regole molto particolari e invece vediamo, nei profili dei politici, video che potrebbero essere ospitati da altre parti”.

Come il video del Cavaliere, per esempio, che ricalca, secondo il sociologo, quello della “discesa in campo” del lontano 1994. “Quello di Berlusconi è un video nostalgia, che non innova ma ricorda. Spiega al suo pubblico, che guarda, i ‘vorremmo fare’, così come in passato”. E così anche Carlo Calenda: nel suo profilo c’è una videocamera (o un cellulare) che registra e lui che risponde a delle domande o spiega i programmi. Non c’è una vera e propria innovazione di linguaggio.

E se, invece, Matteo Salvini “è autenticamente interessato a stare lì sopra, e si impegna a comprendere il funzionamento di TikTok in prima persona”, nella comunicazione di Giorgia Meloni si intravede più un tentativo di buco della serratura da cui guardare per i dietro le quinte della campagna elettorale. Niente di diverso, però, da quanto si può trovare su Instagram.

La vera innovazione? “Il canale del Partito democratico”, risponde il sociologo. Perché? “Il Pd – non Enrico Letta, è da sottolineare – sfrutta un canale in cui si dà spazio a suoi creator con temi adatti all’ambiente in cui vengono condivisi. Lo si vede dalle prime reazioni al video che ha come protagonista Alessandro Zan. La scelta è chiara: parlare per temi identitari cari all’audience di TikTok con un creator differente a ogni video, che porta una tematica con un linguaggio adatto alla piattaforma”.

E TikTok, in effetti, è qualcosa di diverso dai social che conosciamo, anzi, non è proprio un social. “Se ci si iscrive a TikTok si può navigare attraverso i contenuti senza necessariamente avere una rete di contatti, di persone seguite, da cui attingere i contenuti”, spiega l’esperto. “L’algoritmo, di cui non conosciamo niente, impara a suggerirci i contenuti da guardare, ma può anche proporci qualcosa di totalmente inaspettato. Da una parte segue il tuo gusto, dall’altra te lo crea”. Non è troppo rassicurante, però, se si pensa che TikTok è una società di proprietà del colosso cinese ByteDance. “È una forma di soft power cinese”, aggiunge il professore, “proprio perché in grado di incidere su mood e orientamenti”.

E sta qui il nodo. Dove si trovano i dati che sia gli utenti italiani che i politici condividono su TikTok? E che fine fanno?

Il data center di TikTok a Dublino, il primo nell’Unione europea, che ospiterà i dati dei cittadini dei 31 Paesi europei (Spazio economico europeo più Regno Unito), dovrebbe vedere la luce non prima dell’anno prossimo. Ad aprile, infatti, la società ha annunciato che “l’obiettivo di avviare le operazioni” del nuovo data center “all’inizio del 2023, per poi incrementarne l’operatività progressivamente nel corso dell’anno”. È dal 2020 che TikTok ha in sospeso il progetto di archiviare i dati degli utenti europei nella regione. “A livello globale, da tempo TikTok archivia i dati degli utenti a Singapore e negli USA”, dichiara la società. Come ha scritto recentemente il New York Times, permangono le ombre sul rapporto con il Partito comunista cinese. Forbes ha rivelato che 300 dipendenti di TikTok e della sua società madre ByteDance hanno lavorato in passato per i media statali cinesi: sarebbe un’altra dimostrazione degli stretti legami tra la piattaforma e la macchina della propaganda cinese.

TikTok sembra sapere bene che, alla luce dei suoi rapporti con il Partito comunista cinese e dell’attuale situazione globale con un conflitto tecnologico in corso tra Stati Uniti e Cina, l’Unione europea potrebbe essere più disponibile verso aziende statunitensi come Facebook sul trasferimento dei dati. Impensabile, invece, è un accordo di trasferimento da parte dell’Unione europea con la Cina.

Nei giorni scorsi, come raccontato su Formiche.net, il chief administrative officer, cioè il più alto funzionario, della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha diffuso un “TikTok Cyber Advisory” invitando tutti, dipendenti ma anche eletti, a non scaricare la famosa app già bandita dall’Esercito americano sui telefoni del governo federale per ragioni di sicurezza nazionale. Gli esperti di sicurezza informatica ritengono l’applicazione, di proprietà del colosso cinese ByteDance, “ad alto rischio per gli utenti a causa della mancanza di trasparenza nel modo in cui protegge i dati dei clienti, della richiesta di autorizzazioni eccessive e dei potenziali rischi per la sicurezza connessi al suo utilizzo”, si legge nel documento.

Gli utenti, osservano gli addetti alla sicurezza, devono “essere consapevoli del fatto che questa applicazione è nota per memorizzare i dati sulla posizione, le foto e altre informazioni di identificazione personale degli utenti in server situati in Cina e potenzialmente estratti per scopi commerciali e privati”. Per questo, “non raccomandiamo il download o l’uso di questa applicazione a causa di questi problemi di sicurezza e privacy”.

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