I cattolici che proclamano di far riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, dovrebbero puntare piuttosto a ridare al più presto sostanza e contenuti a un progetto culturale, come quello a cui pensava il cardinale Ruini quando era presidente della Cei e che, partendo dalla fede, proponga una sua concezione dell’uomo, della storia e della società
Tutti gli autorevoli commentatori che stanno intervenendo nel dibattito sulla cosiddetta questione cattolica individuano nella mancanza di identità e nell’essere diventato un fatto eminentemente privato le cause principali di irrilevanza.
Rifacciamo la storia: quando fu introdotto nella legislazione del nostro Paese il divorzio, prima sul piano parlamentare (1970), poi all’appuntamento referendario (1974) una parte del mondo cattolico si disimpegnò ed addirittura si schierò con il fronte avverso: parte dell’Azione cattolica, degli Scout, delle Acli con Ranieri La Valle, Giuseppe Alberigo, Giancarlo Zizola, Paolo Prodi, Pietro Scoppola e vari altri, sostenuti da sacerdoti come don Paolo Franzoni, padre David Maria Turoldo, padre Ernesto Balducci, Carlo Carretto di Spello. Ricordo che persino alcuni sacerdoti rifiutavano di far fare incontri, come accadde anche a me che con mia moglie e con il mio primo figlio appena nato spesso trovai le porte sbarrate delle parrocchie.
Poi arrivò la stagione dell’aborto (1978-1981). Anche allora la Democrazia Cristiana scelse di non fare la battaglia antiabortista con tutti i mezzi a disposizione, ma di limitarla alla sede parlamentare, rispettando i tempi delle procedure e garantendo il voto finale prima della data fissata per il referendum, che temevano. Anche allora i democristiani vollero tenere fuori dagli accordi di maggioranza il tema dell’aborto. Anche allora il governo, formato da ministri democristiani, proclamò la sua neutralità, dichiarando estranea alla politica una scelta che in fondo avrebbe riguardato la vita e la morte di centinaia di migliaia di essere umani. I cattolici che firmarono la legge 194, si giustificarono con la teoria dell’atto dovuto e con il principio del rispetto della democrazia. E soprattutto con l’esigenza di assicurare la stabilità politica e la supremazia del partito democristiano.
Tutto quel che è successo dopo, in questo mezzo secolo, ha dimostrato poi se fossero o meno giuste e coerenti con una fede matura e vissuta quelle posizioni e quelle scelte: da allora i governi si sono succeduti a ripetizione e molti sistemi elettorali sono cambiati, la Dc non esiste più, la presenza politica dei cattolici nella società italiana è praticamente ridotta a zero.
Molti di coloro che oggi si lamentano della irrilevanza del mondo cattolico e che si fanno promotori di un nuovo partito cattolico e/o dei cattolici sono prevalentemente gli eredi di quelle correnti culturali e di quegli ambienti del cattolicesimo progressista o cattocomunista, nostalgici della balena bianca, come veniva comunemente indicata la Democrazia Cristiana. Questi cosiddetti cattolici “adulti”, che pur proclamano di far riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, dovrebbero puntare piuttosto a ridare al più presto sostanza e contenuti ad un progetto culturale, come quello a cui pensava il cardinale Ruini quando era presidente della Cei e che, partendo dalla fede, proponga una sua concezione dell’uomo, della storia e della società.