I dati sui prestiti diffusi dalla Banca centrale certificano la spaccatura tra partito e sistema del credito. Ad agosto impieghi all’economia reale al di sotto delle attese degli analisti, nonostante i ripetuti appelli del governo ad aumentare i flussi. Intanto la domanda di petrolio del Dragone può tornare indietro di 20 anni…
Ora è ufficiale, senza possibilità di fraintendimenti. Le banche cinesi hanno deciso di infischiarsene dei ripetuti inviti del governo a prestare più denaro all’economia, a cominciare dal settore immobiliare, ormai simbolo di debito e scandali. Lo scollamento tra sistema del credito e partito era stato anticipato nelle settimane scorse da questa stessa testata. Ora però ci sono i numeri a mettere nero su bianco la dura verità. Sono mesi che Pechino preme sugli istituti affinché aumentino i flussi di credito all’economia reale, mai così anemica a causa della bolla immobiliare, l’inflazione, il ritorno del Covid e la crisi dei piccoli istituti periferici.
La paura di una stagnazione, peraltro abbastanza giustificata, ha spinto il governo di Xi Jinping a reagire con una sorta di isteria da prestito, sollecitando le banche a fare di più. Peccato che un po’ la crisi dei piccoli istituti di provincia finiti a corto di liquidità dopo aver finanziato per anni il mattone senza essere rimborsati, un po’ la crisi di fiducia tra mondo del credito e società immobiliari, abbiano giocato un brutto scherzo. Le cifre, diffuse dalla Banca centrale cinese (Pboc) sono lì a testimoniarlo.
Il mese scorso i nuovi prestiti delle banche cinesi non sono stati all’altezza delle previsioni: 1,25 trilioni di yuan (180,63 miliardi di dollari) in nuovi prestiti. Uno stock in aumento rispetto a luglio ma ben al di sotto delle aspettative degli analisti, che si aspettavano un’impennata degli impieghi dopo i ripetuti appelli di Pechino. Gli esperti intervistati da Reuters avevano per esempio previsto che i nuovi prestiti sarebbero saliti a 1,48 trilioni di yuan ad agosto, più del doppio dei 679 miliardi di yuan del mese precedente e superiori ai 1,22 trilioni di yuan dello stesso mese dell’anno scorso.
“Nel breve termine, una significativa accelerazione della crescita del credito sembra sempre più improbabile”, ha affermato Capital Economics in una nota. “I prestiti in yuan in essere alla fine di agosto sono aumentati del 10,9% rispetto all’anno precedente, rispetto alla crescita dell’11% del mese precedente, quando gli analisti si aspettavano, proprio per agosto, una crescita dell’11%”. Insomma, le banche vanno per conto loro a quanto pare. Proprio mentre il Dragone sembra riprecipitare nell’incubo Covid.
La prova è nel fatto che la domanda di petrolio della Cina nel 2022 potrebbe ridursi per la prima volta negli ultimi vent’anni dopo la rigida politica Covid-zero di Pechino. La domanda di petrolio nella Repubblica Popolare, il più grande consumatore di energia del mondo, potrebbe contrarsi per la prima volta dagli anni 2000 quest’anno a causa dei lockdown diffusi che riducono di conseguenza il consumo di carburante.