Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Se la finanza è pronta a mollare Pechino (nel nome di Taiwan)

Le grandi banche americane e francesi starebbero valutando l’ipotesi di smobilitare dal Dragone qualora esplodesse una crisi militare con l’isola rivendicata e arrivassero le sanzioni. Mentre la Banca mondiale declassa Pechino a zavorra d’Asia

Dalla piccola alla grande fuga, il passo è breve. Da una parte le banche cinesi che, infischiandosene degli appelli di Pechino per un aumento del credito al settore immobiliare, hanno deciso di starsene alla larga proprio da quei giganti ormai caduti. Dall’altra l’avviso ai naviganti delle grandi istituzioni finanziarie occidentali, pronte a smobilitare dalla seconda economia globale, qualora il Dragone decidesse di invadere o di ingaggiare battaglia con Taiwan. La finanza americana ed europea, dunque, è pronta a prendere contromisure qualora le tensioni tra la Cina e l’isola da sempre rivendicata, degenerassero, con la prospettiva di robuste sanzioni contro il governo di Xi Jinping.

Istituti quali Société Générale, Jp Morgan, Ubs hanno infatti chiesto al proprio personale in loco di approntare piani di emergenza per affrontare una possibile crisi militare tra Cina e Taiwan. Non solo, rivela Bloomberg, un ipotetico ridimensionamento del personale, ma anche la chiusura di filiali, sportelli e la drastica riduzione dell’esposizione con le aziende locali, specialmente se legate sotto forma di partecipazione al governo. Non è tutto. Alcune grandi assicurazioni occidentali avrebbero deciso di rinunciare all’emissione di nuove polizze per coprire le aziende che investono in Cina.

“Il rischio politico attorno a potenziali sanzioni statunitensi e la probabilità che la Cina risponda limitando il flusso di capitale sta impensierendo non poco”, ha affermato Mark Williams, professore alla Boston University. “Una guerra di sanzioni aumenterebbe significativamente il costo del fare affari e spingerebbe le banche statunitensi a ripensare la loro strategia cinese”.

C’è da dire che un drammatico dietrofront per le aziende di Wall Street, ma anche francesi, che hanno versato miliardi in Cina dopo l’apertura ai capitali esteri, rappresenterebbe un duro colpo anche per il Dragone stesso. Nel tempo, istituti di credito che vanno da Goldman Sachs a Morgan Stanley hanno preso il controllo di joint venture grazie alle licenze bancarie ottenute dalle autorità cinese. Basti pensare che l’esposizione dichiarata delle maggiori banche di Wall Street verso gli istituti cinesi era di 57 miliardi alla fine del 2021.

Intanto, la Cina da locomotiva diventa zavorra d’Asia, quando mancano poco più di due settimane dall’atteso XX Congresso del Partito comunista cinese. Le ultime proiezioni sulla crescita della Banca mondiale dicono che, per la prima volta dal 1990, il Pil della Cina crescerà meno (un bel po’ meno) della media del resto dell’Asia. Secondo la Banca mondiale, che ha rivisto al ribasso le sue previsioni, il Pil della seconda economia mondiale crescerà quest’anno del 2,8 per cento rispetto all’8,1 per cento dello scorso anno e una precedente previsione vicina al 5 per cento. Il tutto mentre il resto dell’Asia e del Pacifico avrà una crescita del 5,3 per cento, rispetto al 2,6 per cento dello scorso anno.

×

Iscriviti alla newsletter