Pechino e Nuova Delhi cercano una via di distensione nelle contese sui 2100 chilometri del confine himalayano. Dopo gli scontri mortali del 2020, India e Cina ritirano le truppe. Ma potrebbe non essere la soluzione definiva alla diatriba
Cina e India hanno concordato di ritirare le unità militari schierate nella regione del Ladakh, lungo il confine himalayano, dopo che da oltre due anni l’area era diventata un centro di ulteriori tensioni che ha rischiato di infiammare il confronto tra le due potenze nucleari.
“Le truppe indiane e cinesi nell’area di Gogra-Hot Springs hanno iniziato a disimpegnarsi in modo coordinato e pianificato, il che favorisce la pace e la tranquillità nelle aree di confine”, ha dichiarato giovedì il ministero della Difesa indiano in una nota che il governo cinese ha rilasciato in forma quasi identica. E le similitudini nei due statement significa che tra Pechino e Nuova Delhi c’è un allineamento reale sulla questione.
Le tensioni al confine si sono intensificate dopo che l’India ha tolto unilateralmente lo status di semi autonomia alla sua parte della regione contesa del Kashmir nell’agosto 2019. Una situazione che non coinvolge solo Pechino, ma chiama in causa anche il Pakistan, che controlla parte dell’area. Tra Islamabad e Nuova Delhi tensioni sono in corso anche in questi giorni: durante gli incontri ufficiali con l’assistente segretario di Stato americano, Donald Lu, a Delhi la scorsa settimana, l’India ha sollevato “forti obiezioni” al piano del Foreign Military Sales (FMS) statunitense di avallare una fornitura del valore di 450 milioni di dollari per hardware, software e pezzi di ricambio per il programma di jet da combattimento F-16 del Pakistan.
La Cina, che controlla anch’essa una parte del Kashmir e che condivide interessi strategici con il Pakistan (come il corridoio che collega la Belt and Road Initiative all’Oceano Indiano), ha iniziato dal 2019 un rafforzamento delle truppe lungo il suo lato del confine con il Ladakh, che faceva parte dello Stato indiano del Jammu e Kashmir prima che Nuova Delhi dividesse la regione. Pechino definì “illegale e non valida” la decisione dell’India di consolidare il suo controllo sul Kashmir. L’India ha risposto dicendo che si trattava di una questione interna e chiedendo non interferenza (un messaggio diretto al Partito/Stato, che fa della non-interferenze uno dei principi cardini della sua dottrina internazionale).
Nel giugno 2020, soldati indiani e cinesi si sono scontrati con mazze ferrate e bastoni avvolti di filo spinato dopo che l’esercito cinese aveva spostato decine di migliaia di truppe e artiglieria nelle aree contese, tra cui la strategica Valle di Galwan. I combattimenti tra le due parti hanno causato la morte di 20 soldati indiani e di un numero imprecisato di truppe cinesi, nel più grave scontro di confine tra le due nazioni dal 1967.
Nonostante i movimenti militari, non era stato sparato nemmeno un colpo, seguendo un codice di lunga data che vieta l’uso di armi da fuoco in quell’area: questo significa che nonostante il durissimo confronto, entrambi i Paesi avevano intenzione di rispettare il perimetro delle regole condivise che tendono a evitare escalation.
I 2100 chilometri di confine che dividono i due Paesi, noti come Linea di controllo effettiva, continuano a essere non definiti, e probabilmente la distensione in corso non porterà – almeno nel breve periodo – alla soluzione di una questione annosa, e che coinvolge attori rivali. Dopo la guerra del 1962, la Cina e l’India hanno sostenuto le preteste territoriali anche con scontri a bassa intensità. Il rischio evidente è che questa sia una situazione temporanea, e che le tensioni possano ri-infiammarsi in futuro – anche perché Cina e India sono in competizione per affermarsi come potenze globali.
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha dichiarato durante uno dei briefing quotidiani la scorsa settimane che “la Cina salvaguarda fermamente la propria sovranità e integrità territoriale”. “Questa posizione non è cambiata in alcun modo. È molto ferma”, ha aggiunto.
Secondo le informazioni disponibili, alcuni soldati cinesi sono rimasti sul posto ed è del tutto probabile che gli indiani abbiano fatto lo stesso. Restano inoltre aree – come quella orientale di Depsang Plains – che non possono essere pattugliate dall’esercito indiano, e questo significa che la Cina le considera di propria sovranità.
Da parte sua, l’India ha aumentato la sua attenzione sul Ladakh negli ultimi anni, e investito milioni di dollari per costruire strade lungo il suo lato del confine, in particolare nelle aree in cui il suo posizionamento era debole e la Cina aveva un vantaggio sul terreno.
L’annuncio sulla de-escalation è arrivato più o meno in concomitanza del vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) che si svolge in questi giorni a Samarcanda, in Uzbekistan. Sarà la prima volta che il primo ministro indiano, Narendra Modi, e il leader cinese, Xi Jinping, si troveranno nello stesso luogo dopo lo scontro mortale dell’estate 2020.
La Cina intende dare particolarmente rilievo all’SCO, lo considera come una forma di proiezione di influenza e un modello alternativo ai sistemi multilaterali a guida occidentale. Non a caso, Xi lo ha scelto come primo spostamento dopo l’inizio della pandemia (durante la quale il segretario del Partito Comunista Cinese ha adottato politiche di isolamenti rigidissime simile allo Zero Covid che ha imposto nel Paese). E non a caso a Samarcanda il cinese dovrebbe vedere Vladimir Putin per la prima volta dall’inizio della guerra russa in Ucraina.