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Contro i droni dell’Iran, gli Usa addestrano gli alleati del Medio Oriente

Gli Stati Uniti stanno progettando una struttura in cui fare test e formazione sulla difesa aerea (sostanzialmente sui droni) e sarà posizionata in Arabia Saudita. Washington intende rassicurare i propri interessi – ossia i suoi alleati – sul fatto che resterà il fornitore di sicurezza centrale della regione

La Middle East Air Defense Alliance che Israele ha lanciato un paio di mesi sta prendendo forma. L’alleanza regionale regolata dagli Stati Uniti di cui gli israeliani parlavano anche in anticipazione della visita del presidente americano, Joe Biden, in Medio Oriente (Gerusalemme e Jeddah le tappe) sta iniziando alcune attività, tra queste l’apertura di un centro di formazione contro le minacce aree in Arabia Saudita.

Sarà il CentCom, il comando del Pentagono che ha come area di responsabilità la fascia geopolitica dall’Egitto all’Afghanistan, e questa iniziativa dimostra che Washington ha in mente di costruire una formula di deterrenza centrata su alleanze e partnership, piuttosto che su accordi diretti con i singoli stati. Se è vero come è vero che l’America intende limitare il coinvolgimento nel teatro mediorientale, è altrettanto vero che non ha intenzione di perdere contatto con la regione.

Secondo quest’ottica strategica, la costruzione di un raggruppamento allineato di partner permetterà meglio la direzione delle attività (ruppe e basi americane per ora resteranno nell’area, ma limiteranno le attività combat per quanto più possibile). Tutto è possibile grazie al clima di dialogo e fiducia reciproca che certi attori regionali stanno costruendo. Frutto anche degli Accordi di Abramo, si è aperto un dialogo e una cooperazione tra Israele e diversi Paesi arabi – compresa l’Arabia Saudita, anche se in via informale.

Se c’è un raggruppamento di partner allora serve un nemico che faccia da collante, e qui sia gli Stati Uniti, che le nazioni del Golfo e Israele, trovano nell’Iran – e nei suoi prolungamenti regionali – l’antagonista perfetto.

Teheran ha costruito negli anni, attraverso l’attento lavoro delle Quds Force del Sepah (dirette da Qassem Soleimani finché un drone statunitense non l’ha assassinato), un network di milizie sciite diffuse in Siria, Libano, Iraq, Afghanistan, Pakistan, in parte in Yemen e con link in Bahrein. Si tratta di attori di influenza, in grado di compiere azioni di destabilizzazione e disturbo, che sono parte della dimensione geostrategica iraniano. La quale chiaramente passa anche dalle ambizioni nucleari, dalla preparazione di un programma di missili balistici, o dal consolidamento dei rapporti con Russia e Cina, e delle relazioni internazionali (dall’Asia Centrale al Sudamerica).

La struttura che verrà creata in Arabia Saudita servirà per testare nuove tecnologie per combattere la crescente minaccia dei velivoli senza pilota, che sono uno degli asset militari più importanti in mano a Teheran – tanto che la Russia ha fatto ricorso a una fornitura iraniana, viste le difficoltà (tecniche, motivazionali, produttive) incontrate durante l’invasione in Ucraina. Allo stesso tempo, sotto la pianificazione del CentCom permetterà di sviluppare capacità integrate di difesa aerea e missilistica. Il generale Michael Kurilla, che guida il CentCom, ha proposto l’idea in un meeting (probabilmente a luglio), e ricevuto ampio consenso.

Il nome è simbolico: Red Sands Integrated Experimentation Center, e richiama in parallelo il White Sands Missile Range, l’impianto militare statunitense per la sperimentazione di missili a lungo raggio nel Nuovo Messico. Come lo stato centro-meridionale americano, l’Arabia Saudita ha caratteristiche geografiche e geomorfologiche adatte: i grandi spazi aperti (di proprietà della monarchia regnante) permetteranno di effettuare test su vari metodi di guerra elettronica, come il signal-jamming e l’energia diretta, senza interferire con i centri abitati vicini.

Questo permetterò anche di spostare a Riad parte delle attività di sicurezza regionale di questa nuova architettura in costruzione, e ciò dovrebbe permettere a Washington di mantenere attivi i collegamenti con il regno. Dall’arrivo del presidente Biden alla Casa Bianca ci sono state relazioni più fredde, perché il democratico ha criticato il ruolo del principe ereditario Mohammed bin Salman. Queste relazioni hanno avuto un parziale reset con la visita dell’americano e l’incontro personale con bin Salman, ma la relazione resta complicata (lo dimostra la reazione saudita alle richieste di aumentare le produzione, a cui Riad ha risposto con un taglio in sede Opec+).

Il centro non sarà pronto prima della fine dell’anno, ma la sua pianificazione serve anche a rassicurare il regno (e gli alleati) su uno dei piani su cui Washington non è al momento superabile dalle altre potenze alternative – per primo la Cina. Ossia, fornire sicurezza e difesa, impegnandosi in prima persona (la struttura sarà finanziata per il 20% da Washington, e soprattuto almeno un quarto dei militari saranno americani, e c’è da scommetterci che saranno iper qualificati e in grado di trasmettere know how unici).

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