L’intesa Macron-Scholz sul gas rischia di non bastare, spiega l’esperto. L’Italia fuori? “Ha a che fare con Draghi in uscita”. Per questo, in stallo anche il Piano d’azione con la Germania. La situazione attuale ricorda la fase iniziale del Covid-19, poi gli Stati si sono uniti e hanno delegato la Commissione: “Si lavori in questa direzione anche sull’energia”
Un tetto al prezzo del gas importato dalla Russia (fortemente chiesto inizialmente dall’Italia e poi sposato da numerosi Paesi, inclusa la Germania) e un limite alle quotazioni massime da introdurre in caso di emergenza nelle regioni europee che sarebbero più colpite dal taglio delle forniture di Mosca e meno in grado di diversificare gli approvvigionamenti (in pratica l’Europa centrale e orientale). Sono le due opzioni tratteggiate in un non-paper che la Commissione europea presenterà domani ai responsabili tecnici dei 27 Stati membri e il 9 settembre al Consiglio Energia straordinario.
Intanto, però, gli Stati membri si muovono parallelamente. Nella giornata di lunedì Francia e Germania hanno stretto un patto per affrontare insieme la crisi del gas russo. “La Germania ha bisogno del nostro gas e noi abbiamo bisogno dell’elettricità prodotta nel resto dell’Europa e in particolare in Germania”, ha spiegato il presidente francese Emmanuel Macron, durante una videoconferenza con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. La Francia, ha assicurato, completerà nelle prossime settimane le connessioni per fornire gas alla Germania quando sarà necessario. La Germania, ha aggiunto, ha promesso di inviare elettricità quando servirà. “Questa solidarietà francotedesca è l’impegno che ho preso con Scholz”, ha sottolineato.
Con lo stop alle consegne di metano dalla Russia attraverso il gasdotto Nord Stream, la Germania, prima economia dell’Eurozona, rischia di trovarsi senza la materia prima per produrre elettricità. Al contrario, Francia può contare sull’energia prodotta da decine di centrali nucleari: vanta di aver raggiunto “il 92-93% della capacità” degli stoccaggi di gas. Una scorta messa assieme “in anticipo rispetto alle nostre aspettative” e che, a detta di Macron, dovrebbe garantire al Paese di superare l’inverno senza ricorrere ai razionamenti.
In un editoriale sul Messaggero, il professor Vittorio Emanuele Parsi dell’Università Cattolica di Milano ha sottolineato che l’aspetto positivo dell’accordo viene “largamente superato da quello negativo”. La volontà di Parigi e Berlino di unire le forze davanti alla “tempesta” che la Russia di Vladimir Putin vuole scatenare sull’Europa “è un passo nella giusta direzione”, ha scritto. “Ma non lo è affatto se questa scelta è compiuta escludendo gli altri Stati dell’Unione europea. A cominciare da chi come l’Italia non solo ha una dipendenza molto consistente dalle forniture russe, ma ha fatto molto di più dei tedeschi per ridurne la rilevanza”. Una situazione, ha proseguito, che “forse anticipa il tono della reazione europea all’esito previsto dalle prossime elezioni politiche italiane” (che “è inaccettabile”) ma che soprattutto “porta argomenti al disegno di Putin, alla strategia del divide et impera che sta perseguendo fin dall’inizio della sua scellerata guerra, tanto sul fronte atlantico quanto su quello europeo”.
L’Italia, che oggi ha rinviato l’appuntamento per l’indipendenza energetica da Mosca al 2025 (in precedenza era autunno 2024), è stata ignorata, ha osservato il professor Parsi. Il tutto, nonostante una “ignominiosa pressione di un despota al Cremlino” in una campagna elettorale giocata sui costi e sulle ripercussioni della guerra (a partire dall’energia, come dimostra l’ultima attacco da Mosca a Roma).
“L’esclusione dell’Italia sembra avere a che fare con il fatto che il governo presieduto da Mario Draghi sia in uscita”, osserva Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma e Senior Policy Fellow presso lo European Council on Foreign Relations, a Formiche.net. Una situazione che ha due effetti, continua. “Primo: potrebbe aver disincentivato Francia e Germania a investire sull’Italia. Secondo: complica l’azione del governo che nei mesi scorsi, al contrario, era stata molto efficace – basti pensare alla foto dei tre leader a Kiev e del ruolo dell’Italia nell’accogliere prontamente la richiesta di adesione dell’Ucraina all’Unione europea, su su cui Macron e Scholz erano inizialmente contrari”.
Varvelli è scettico anche sull’efficacia dell’intesa bilaterale. “Potrebbe non bastare”, dice. “È l’Europa a dover fare di più, pensando anche a un piano di investimenti in infrastrutture energetiche. La situazione attuale ricorda per certi sensi la fase iniziale della corsa ai vaccini per il Covid-19. In quell’occasione gli Stati membri hanno successivamente realizzato le loro difficoltà di approvvigionamento e hanno deciso di delegare gli sforzi alla Commissione europea, che si è poi presentata sul mercato con una forza maggiore. Credo si debba iniziare a lavorare in questa direzione anche per quanto riguarda l’energia”.
Nel suo intervento sul Messaggero, Parsi si è soffermato anche sul Trattato del Quirinale siglato a novembre tra Italia e Francia. “Avevamo sempre ritenuto noi come i francesi” che questo patto, “che istituzionalizzava la relazione particolare tra Parigi e Roma, dissipasse i dubbi che il riconoscimento della centralità della relazione franco-tedesca implicasse un’emarginazione di quella italo-francese. Se così non è, quel Trattato diventa poca cosa”, ha scritto.
Il Piano d’azione italo-tedesco dovrebbe chiudere il triangolo Parigi-Roma-Berlino dopo il Trattato del Quirinale, seppur dalla cancelliera tedesca sia più volte trapelata “l’esclusività delle relazioni franco-tedesche” sancita nel Trattato di Aquisgrana del 2019. La sigla del Piano era attesa entro la prima metà dell’anno. Fonti diplomatiche hanno spiegato a Formiche.net che prima della crisi di governo in Italia il piano era in fase avanzata. Ora, però, se ne riparlerà con il prossimo governo.
E soltanto dopo quella firma si riprenderà il dossier che riguarda l’accordo bilaterale con il Regno Unito. Un’intesa che parte da affari esteri, difesa e sicurezza, settori dove la prassi tra i due Paesi è più collaudata, per estendersi a temi come ambiente ed educazione. È “il primo nel suo genere tra i due Paesi, un documento di natura strategica fondamentale per le relazioni anglo-italiane del prossimo futuro”, aveva spiegato un anno fa Jill Morris, allora ambasciatrice britannica in Italia (oggi a Villa Wolkonsky c’è Ed Llewellyn), nel corso di un’audizione alla commissione Esteri della Camera. Ma “prima gli europei” è il motto seguito dal governo italiano e, di riflesso, dalla diplomazia.