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Le imprese, il gas e quel tabù nucleare da sfatare. Parla Benedetta Fiorini

Basta con il mito delle rinnovabili, alle aziende serve elettricità e gas a prezzi sostenibili. Nell’Adriatico c’è tanto metano, oggi paghiamo anni di no e ostruzionismo cieco. Ed è arrivato il momento di un fisco a prova di crisi. Intervista alla deputata della Lega e candidata della coalizione di centrodestra nel collegio di Imola

Sterzare, con decisione, prima che sia troppo tardi. Prima che il lavoro di una vita, e forse anche i risparmi, evaporino sotto lo sguardo impotente di imprenditori e famiglie, sotto i colpi di una crisi energetica molto simile a un maelstrom. Già, ma come evitare il baratro? E da dove partire? In soldoni, dove mettere le mani? Domande direttamente girate a Benedetta Fiorini, deputata della Lega e candidata della coalizione di centrodestra nel collegio uninominale U05 per la Camera in Emilia-Romagna.

Le imprese italiane scontano gli effetti di una crisi energetica dalle proporzioni ancora non ben definite. Come evitare, nel breve e medio termine, la desertificazione industriale in un Paese che vive di manifattura?

L’Italia ha bisogno di un cambio di rotta, di una vera politica industriale ed energetica a medio e lungo termine. Se è vero che le grandi crisi sono anche occasione di cambiamento, quella che stiamo attraversando oggi, ci spinge nella direzione di scelte non più rinviabili. Il piano nazionale per il contenimento dei consumi di gas e di energia elettrica del governo è un passo avanti che agisce nel breve. Lo stesso dicasi per l’aiuto che deve arrivare dal Pnrr, un’opportunità unica che dobbiamo mettere a terra.

Il governo è intervenuto con diversi provvedimenti, come i decreti Aiuti…

Un altro tampone per l’emergenza, ma che ancora non ha una valenza a lunga gittata. Basti pensare al credito d’imposta al 40% che è un’ottima misura che le imprese ci hanno chiesto, ma che deve essere procrastinata oltre la fine di quest’anno. A questi interventi vanno affiancate misure come una moratoria sui mutui e altre riforme strutturali come il taglio del cuneo fiscale che metta subito più soldi in busta paga ai lavoratori, alle famiglie. Ed è anche necessario reintrodurre un nuovo 4.0, adattato anche alle esigente attuali ed il patent box.

Fiorini, senza soluzioni rapide ed efficaci che cosa si rischia?

L’Italia ha un’economia di filiera che va sostenuta per renderla sempre più competitiva anche sui mercati internazionali, non lasciando indietro nessuno, né le piccole né le grandi realtà. Oggi, il caro bollette è un problema che si somma al costo dei carburanti e alla sempre maggiore difficoltà nel reperire materie prime senza averle a prezzi folli. Se non interveniamo a tutela dei nostri distretti produttivi, allora sì, che con un drammatico effetto domino, rischiamo la desertificazione industriale del Paese e soprattutto la perdita di migliaia di posti di lavoro. Ora più che mai servono politiche mirate, di incentivo, per scongiurare la fuga delle imprese dall’Italia, che non significa solo lottare contro la delocalizzazione, ma rendere più attrattivo il nostro Paese per chi vorrebbe rientrare o venire a produrre qui.

Capitolo formazione. Negli ultimi giorni si è parlato degli Its, fucina di competenze di cui il Paese ha bisogno. Il suo punto di vista?

Se vogliamo ragionare a medio e lungo termine, già oggi dobbiamo piantare le basi per un altro cambio di rotta, ovvero quello di stimolare una vera cultura del lavoro, laddove mancasse. Bisogna investire in modo pragmatico sulla formazione dei nostri ragazzi.
Purtroppo il disallineamento che esiste e persiste tra le esigenze del mondo del lavoro e i percorsi formativi scelti dai giovani è un limite per le opportunità di occupazione post diploma o post laurea. Gli Istituti tecnici sono importantissimi e vanno creati percorsi specifici in base alla richiesta del mondo del lavoro per dare ai giovani la possibilità di avere un futuro e una professionalità da sfruttare qui in Italia. Naturalmente, perché tutto questo sia realizzabile, la precondizione necessaria per la salvaguardia del nostro sistema economico è avere un governo stabile e duraturo.

Stringiamo il campo sull’energia. L’Italia mai come oggi paga il prezzo di ritardi e indecisioni del passato, soprattutto in ottica di indipendenza energetica. Come invertire la rotta e spingere con celerità verso una reale autosufficienza?

L’Italia paga il prezzo di anni e anni di politiche del No, ideologiche e dannose che ci hanno fatto perdere tempo, soldi e competitività.
Pensare di raggiungere l’autosufficienza energetica e superare la crisi solo con le rinnovabili è falso e trovo sia profondamente scorretto ingannare gli italiani, come continua a fare anche il mio competitor Angelo Bonelli insieme ad una certa sinistra. Eolico e fotovoltaico vanno benissimo, magari sburocratizzando le procedure per consentire alle famiglie e alle imprese di installare i pannelli solari, ma poi serve altro. I settori energivori dell’acciaio, del cemento, le vetrerie, le ceramiche e le cartiere non possono sostituire l’energia termica con energia elettrica.

Nel caso dell’Emilia-Romagna?

Nel distretto ceramico della mia regione, l’Emilia Romagna, le imprese hanno investito nell’efficientamento energetico, hanno acquistato macchine che vanno a idrogeno e forni elettrici, ma a questo punto, si aspettano di acquistare l’elettricità a prezzi adeguati. Le forniture, inoltre, devono assicurare continuità e adeguatezza, come accade per il gas, ecco perché i rigassificatori, come quelli a Piombino e a Ravenna vanno fatti e noi lo abbiamo messo anche nel nostro programma. Inoltre, lasciare le risorse presenti in Adriatico, che è anche il nostro mare, completamente a disposizione dei nostri vicini in Croazia è assurdo. Smettiamola con i No e rimettiamo in moto il Paese ed il sistema con i .

Le dico una parola che suona ancora come un tabù, almeno in Italia. Nucleare…

Questo ragionamento, quello di prima, vale anche per il nucleare, che oggi è un altro strumento indispensabile per rispondere alle richieste di energia del Paese. Ed è tempo di iniziare ad affrontare l’argomento in maniera seria e pragmatica facendola finita con i tabù ideologici, o peggio, dettati dalle paure. I nostri vicini europei hanno già intrapreso questa strada da tempo, realizzando centrali di ultima generazione che nulla hanno a che vedere con quello che esisteva trenta, quarant’anni fa. Intanto noi, grazie a Letta, ci legavamo mani e piedi alla dipendenza dal gas russo, e oggi ne paghiamo le conseguenze.

Insomma, volendo tirare le somme…

Per raggiungere l’autosufficienza energetica dobbiamo procedere con la transizione green, ma riformulando i parametri: si devono preservare l’ambiente, i posti di lavoro e le filiere con i tempi dovuti. Prendiamo ad esempio la scure che sta mettendo a rischio l’automotive italiano: la messa al bando, dal 2035, delle auto a combustione interna a vantaggio della produzione esclusiva di mezzi elettrici è una follia o forse, sarebbe meglio dire, un favore alla Cina.

Il portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli, è uno dei suoi avversari nel collegio uninominale U05 di Imola. Lei lo ha attaccato dicendo che anche la coalizione che lo sostiene si vergognerebbe di lui. Perché?

La stessa sinistra che è in colazione con lui si vergogna di lui; semplicemente perché lo ha sempre tenuto nascosto e tra Imola, Bologna e l’Appennino modenese non si è mai visto. In Emilia Romagna, nel nostro collegio, è stato solo sui giornali per litigare con il suo alleato, il presidente della Regione Stefano Bonaccini (Pd), sulla realizzazione del rigassificatore di Ravenna. Questo signor No, non solo mistifica i numeri usandoli a suo piacimento, ma dice tutto e il contrario di tutto, pronto a rinnegare le sue stesse idee, se serve per la sua poltrona.

E la verità, allora, dove sta?

La verità è che la sinistra si è dimenticata dei veri problemi della gente e non capisce la gravità della situazione ed è per questo che la mia priorità è tutelare il lavoro e i posti di lavoro, perché quando parlo di impresa mi riferisco sempre alle famiglie che ci sono dietro.
I nostri imprenditori hanno investito energie e risorse per stare al passo con le richieste dettate dalla transizione green voluta dall’Europa e non hanno bisogno di essere rappresentati in parlamento da persone che vogliono riportarli all’epoca del paleolitico e che non si preoccupano nemmeno di ascoltare al territorio.

Imola, collegio nel quale Lei è candidata, è terra ricca di imprese, soprattutto artigiane. Che cosa si sente di dire agli imprenditori che vedono le attività di una vita a un bivio tra chiusura e sopravvivenza?

Il mio dialogo con gli imprenditori, con gli artigiani, con il mondo cooperativo, con gli agricoltori e con i commercianti del mio territorio, della mia regione, è costante e non si è mai interrotto. Tutti i distretti produttivi, dalle ceramiche, all’automotive, all’agroalimentare, poi il biomedicale, il farmaceutico hanno sempre trovato in me un interlocutore presente e affidabile. Già nel dicembre dello scorso anno, primi tra tutti, noi come Lega avevamo già sollevato il problema del caro energia e, insieme a Matteo Salvini e agli assessori alle Attività Produttive di Emilia Romagna e Lombardia, ci siamo confrontati con i distretti della ceramica per condividere problematiche e soluzioni.

A volte la politica si dimentica dell’economia, quella reale, fatta di imprese e produzione…

Così che si fa politica: si ascolta, si condivide e si lavora per portare a casa le soluzioni migliori. Anche così è arrivato il mio intervento, quando come Lega, abbiamo cancellato la norma inserita nel decreto Aiuti che avrebbe limitato il riconoscimento dei crediti d’imposta alle imprese per i consumi di energia elettrica e gas. Con l’eliminazione del de minimis per le imprese, abbiamo evitato a molte aziende, energivore e non, di essere danneggiate: senza questo intervento, non avrebbero goduto a pieno delle misure adottate dal governo a partire dal primo trimestre 2022 per contrastare il caro energia. Allo stesso modo, oggi, bisogna lavorare per ottenere il decreto attuativo per la gas release per le imprese energivore e per la sospensione del meccanismo degli Ets, mentre a livello europeo urge il raggiungimento dell’intesa sul price cap sul gas.

Già, l’Europa. Che ancora una volta ha mancato l’appuntamento con la maturità, fallendo proprio sul terreno del price cap. Esiste davvero una Unione solidale e all’altezza delle grandi sfide del nostro tempo?

Io penso sia ora di riequilibrare i rapporti e avere più voce a Bruxelles: serve un’Italia più forte più reciprocità tra gli stati membri.
Le porto l’esempio degli attacchi che tentano nei confronti del nostro Made in Italy, come quello perpetrato dalla Slovenia contro l’Aceto Balsamico di Modena Igp. Nel momento in cui il Consorzio di tutela mi ha contattata chiedendo aiuto, ho immediatamente portato la questione all’attenzione del parlamento e, insieme al sottosegretario Centinaio al tavolo del governo. Da lì è partita la procedura di infrazione a Bruxelles. Questo si chiama lavoro di squadra e la politica dovrebbe operare così, nell’interesse del nostro Paese.

Altri esempi?

Lo stesso dicasi per la battaglia sul Nutriscore dove è intervenuto direttamente l’Antitrust imponendo alla catena francese Carrefour di precisare, sul packaging, alcune avvertenze su come il sistema Nutriscore è stato sviluppato in base ad un algoritmo e a valutazioni scientifiche non universalmente riconosciute e condivise. Anche in questo caso, l’Italia si sta battendo in Ue per difendere le nostre eccellenze e per far sì che quello che compriamo abbia un’etichettatura che non influenzi il consumatore in maniera scorretta.

Passata l’emergenza energetica, sarà tempo di ricostruire crescita duratura. Quale il fisco più a misura di un Paese che vuole competere, non solo in Ue?

Dobbiamo rendere sempre più competitive le nostre imprese, anche a livello internazionale e per farlo, occorre intervenire per snellire la burocrazia e facilitare lo svolgimento delle pratiche. Le aziende italiane competono sulla base della qualità dei loro prodotti che le rendono uniche, ma poi i costi di produzione, magari anche in termini di scartoffie, ci penalizzano. Ecco perché, nel piano di ammodernamento del Paese è necessario intervenire con politiche fiscali strutturate, durature e pensate per sostenere famiglie e imprese.

Il programma del centrodestra in tal senso che cosa propone?

Nel nostro programma sono indicate misure che avrebbero subito un effetto tangibile, come ad esempio la detassazione degli straordinari e dei premi di produzione ai dipendenti e ai collaboratori: un’azienda non può mettere a bilancio 2 mila per un premio di mille e questa misura, allo Stato costa pochissimo. La riduzione della pressione fiscale per famiglie, imprese e lavoratori autonomi è un’altra priorità, così come la pace fiscale e il saldo e stralcio delle cartelle esattoriali, che significa rivolgersi solo a chi le tasse le ha pagate e le paga.

Si è parlato, spesso, si sgravi per le imprese che assumono…

Sì, bisogna agire attraverso politiche fiscali ispirate al principio del chi più assume, meno paga, insomma, l’obiettivo è quello di liberare un Paese ingessato da un fisco penalizzante, frutto della convinzione che gli italiani siano tutti evasori, quando sappiamo benissimo che non è così. Se da sinistra arrivano poche idee e molto confuse, per quel che ci riguarda una cosa è certa: non abbiamo la minima intenzione di alzare le tasse come vorrebbero fare loro, ma soprattutto lungi da noi l’idea di rimettere nuove patrimoniali.

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