Riccardo Cristiano analizza le riflessioni che Papa Francesco ha condiviso lo scorso 15 settembre in Kazakhstan con i membri della “Regione russa” della Compagnia di Gesù. Il colloquio integrale sarà pubblicato domani sul sito de “La Civiltà Cattolica”
L’incontro tra papa Francesco e i gesuiti presenti a Nur Sultan e che operano in Russia, Bielorussia e Kirghizistan, in occasione del suo recente viaggio in Kazakhstan contiene delle indicazioni di assoluto rilievo politico, culturale e spirituale che il sito de La Civiltà Cattolica mette in risalto da questo pomeriggio. Il papa ribadisce che siamo già entrati nella terza guerra mondiale, non più combattuta a pezzi, specifica i rischi, ripete che “qui la vittima di questo conflitto è l’Ucraina. Io intendo ragionare sul perché questa guerra non sia stata evitata. E la guerra è come un matrimonio, in un certo senso. Per capire, bisogna indagare la dinamica che ha sviluppato il conflitto”.
Ma prima di seguire il filo del suo ragionamento occorre anteporre una considerazione decisiva, che riguarda la dittatura, un tema importante per i gesuiti presenti in Russia e Bielorussia e sul quale gli hanno chiesto un consiglio alla luce della sua esperienza argentina: “I governi dittatoriali sono crudeli. C’è sempre crudeltà nella dittatura. In Argentina prendevano la gente, la mettevano su un aereo e poi la buttavano nel mare. Quanti politici ho conosciuto che sono stati in prigione e torturati! In queste situazioni si perdono i diritti, ma anche la sensibilità umana. Io l’ho sentito in quel momento. Tante volte ho pure sentito bravi cattolici dire: ‘Se la meritano questi comunisti! Se la sono cercata!'”.
È terribile quando l’idea politica supera i valori religiosi. In Argentina sono state le mamme a fare un movimento per lottare contro la dittatura e cercare i loro figli. Sono le mamme a essere state coraggiose in Argentina”. Ecco dunque da dove viene la favola del Bergoglio-comunista, dalla sua contrarietà a quel sistema e da altre necessità di coprire questa dimensione così profondamente da “o noi o loro” da produrre odio. Questa è una malattia oggi dilagante, gli opposti estremismi, la disumanizzazione dell’altro.
Questo passaggio fortissimo, drammatico e decisivo, spiega quello che il papa ha raccomandato ai suoi gesuiti su cosa fare, oggi, lì dove si soffre, si muore, si uccide, si viene uccisi, si perde tutto, si combatte, si spera e ci si dispera: “Per me la cosa da fare è dimostrare vicinanza. Questa è la parola chiave: stare vicini, aiutare la gente che soffre. Il popolo deve sentire che il suo vescovo, il suo parroco, la Chiesa è vicina. Questo è lo stile di Dio. Lo leggiamo nel Deuteronomio: quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?”
Lo stile di Dio è la vicinanza. La vicinanza è la parola che ha scelto con cura e che segue un’altra parola alla quale attribuisce molta attenzione, l’odio: “Liberare i cuori dall’odio. Dal primo giorno della guerra fino a ieri ho parlato costantemente di questo conflitto, facendo riferimento alle sofferenze dell’Ucraina. Il giorno dell’indipendenza del Paese, a piazza San Pietro c’era la bandiera, e io stesso ne ho parlato, ovviamente. Dopo aver parlato dell’Ucraina, ho pensato di dire una parola alla sofferenza dei due popoli, quello ucraino e quello russo. Perché nelle guerre a soffrire è il popolo, la gente. A pagare è la povera gente, come sempre. E questo genera odio. Chi fa la guerra dimentica l’umanità e non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. La gente comune in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra. Poi ho fatto riferimento anche a quella ragazza che è saltata in aria. A questo punto si è dimenticato tutto ciò che avevo detto fino a quel momento e si è prestata attenzione solamente a quel riferimento. Ma comprendo le reazioni della gente, perché sta soffrendo molto”.
Sarà certamente questo il punto più commentato o più sottolineato. Forse è anche giusto che sia così. Ma la necessità di evitare di cadere nell’assolutismo è per me più rilevante per capire il senso di quanto detto da papa. “Voglio ricordare che il giorno dopo l’inizio della guerra sono andato all’Ambasciata russa. Si è trattato di un gesto inusuale: il Papa non va mai in Ambasciata. Riceve gli ambasciatori personalmente solamente quando presentano le credenziali, e poi al termine della loro missione in visita di congedo. Ho detto all’ambasciatore che avrei voluto parlare con il presidente Putin purché mi lasciasse una piccola finestra di dialogo. Ho anche ricevuto l’ambasciatore ucraino e parlato due volte con il presidente Zelensky al telefono. Ho inviato in Ucraina i cardinali Czerny e Krajewski, che hanno portato la solidarietà del Papa. Il segretario per i rapporti con gli Stati, mons. Gallagher, è andato in visita. La presenza della Santa Sede in Ucraina ha il valore di portare aiuto e sostegno. È un modo per esprimere una presenza. Anch’io avevo in mente di poter andare. Mi sembra che la volontà di Dio sia di non andare in questo preciso momento; vediamo poi in seguito, però”.
Sono venuti da me alcuni inviati ucraini. Tra questi il vicerettore dell’Università Cattolica dell’Ucraina, accompagnato dall’assessore per le questioni religiose del Presidente, un evangelico. Abbiamo parlato, discusso. È venuto anche un capo militare che si occupa dello scambio dei prigionieri, sempre con l’assessore religioso del presidente Zelensky. Questa volta mi hanno portato una lista di oltre 300 prigionieri. Mi hanno chiesto di fare qualcosa per operare uno scambio. Io ho subito chiamato l’ambasciatore russo per vedere se si poteva fare qualcosa, se si potesse velocizzare uno scambio di prigionieri. Quando è venuto in visita un vescovo cattolico ucraino, io gli ho consegnato un plico con le mie dichiarazioni sul tema. Ho definito l’invasione dell’Ucraina una aggressione inaccettabile, ripugnante, insensata, barbara, sacrilega… Leggete tutte le dichiarazioni! La Sala Stampa le ha raccolte. Però vorrei dirti che a me non interessa che voi difendiate il papa, ma che il popolo si senta accarezzato da voi che siete i fratelli del Papa. Il papa non si arrabbia se è frainteso, perché conosco bene la sofferenza che c’è alle spalle”.
Un mondo di giudici spesso distratti segue la guerra da una sponda o dall’altra. Aiutano? Questo mi sono chiesto terminando la lettura.