Le entrate record dalle royalties sulla vendita di gas naturale conferiscono a Tel Aviv un ruolo sempre maggiore. Merito di Leviathan, Tamar e Karish. Ma attenzione alle minacce di Hezbollah
Boom israeliano per i ricavi del gas. Tel Aviv sta ottenendo entrate record dalle royalties sulla vendita di gas naturale: nel primo semestre del 2022 si è registrato un +48% per 250 milioni di dollari, rispetto ai 165 milioni di dodici mesi prima. Numeri che confermano Israele come player strategico nella fase post ucraina, con l’opportunità di aumentare le esportazioni verso l’Europa, in attesa degli sviluppi di Kronos e Zohr.
Qui Israele
Continuando di questo passo, gli analisti stimano che entro un biennio Israele potrà garantire fino al 10% del fabbisogno europeo: contingenza che, sommata al potenziale raddoppio dei flussi via Tap e ai nuovi accordi con altri Paesi come Qatar e Algeria, contribuiscono a disegnare un nuovo schema per il Vecchio continente. Nello specifico lo sviluppo della fase B nel Leviathan e un ampliamento del Tamar giocheranno un ruolo primario, senza contare il campo di Karish che dovrebbe iniziare a produrre entro pochi giorni, anche se su quest’ultima opzione andranno sciolti i nodi relativi alle minacce di Hezbollah (sostenuto dall’Iran).
Leviathan
Su Leviathan dovrebbero esserci novità significative nel brevissimo periodo, visto che i partner del progetto stanno negoziando con i cantieri navali un nuovo programma di sviluppo. Ovvero espandere le esportazioni attraverso il terminal della Valle del Giordano e un nuovo collegamento a terra costruito da Israel Natural Gas Lines (INGL). In questo modo Israele ed Egitto saranno collegati da un nuovo gasdotto onshore, da Ramat Hovav a Nitzana. Avrà fino a 6 miliardi di metri cubi all’anno di capacità. E Chevron potrebbe inviare una nave galleggiante a gas naturale liquefatto per aumentare l’attuale produzione da 12 miliardi di metri cubi annui.
Il caso Karish
Se il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah vuole provare a “danneggiare la piattaforma Karish, è il benvenuto, ma il Libano ne pagherà il prezzo”, ha affermato il ministro della Difesa Benny Gantz. Sul caso si registra il tentativo di mediazione statunitense, tramite l’inviato Amos Hochstein che dovrebbe a breve concludere un accordo tra i governi libanese e israeliano. L’obiettivo, tra due soggetti che non hanno alcuna relazione diplomatica, è quello di stabilire un confine marittimo al largo del Mediterraneo per concedere a Israele i diritti sul giacimento di gas di Karish e al Libano il diritto sul confinante giacimento di gas di Kana.
Scenari
Israele invia il suo gas attraverso l’Arab Gas Pipeline, inizialmente costruito per trasportare gas naturale in Giordania, Siria e Libano dall’Egitto, ma il flusso è stato invertito tre anni fa. Nel giugno scorso, Israele, Egitto e Ue hanno siglato un memorandum d’intesa per aumentare ulteriormente la produzione di gas israeliana, situazione che si sposa con gli sviluppi geopolitici nella macro area. Tramite il gas, quindi, Israele ha la possibilità di incrementare il proprio ruolo a causa del fabbisogno energetico dell’Europa e, progressivamente, nei prossimi mesi si assisterà ad una mutazione anche delle sensibilità di vari governi nella lotta per il gas naturale del Mediterraneo.
Lo dimostra la vicenda relativa al gasdotto Eastmed: sembrava una infrastruttura ormai completamente abbandonata, visti i costi e i 1.900 km di lunghezza, ma pare stia recuperando terreno. Il motivo? La spinta europea a staccarsi dalla dipendenza energetica con la Russia e le nuove scoperte a Cipro.
@FDepalo