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Elezioni cruciali come nel ’48. I rischi per Meloni nell’analisi di Passarelli

“Come nel dopoguerra, decideremo se stare nel campo atlantico o nel campo delle democrature”. Intervista al politologo e docente alla Sapienza: “Il problema di Meloni rimane comunque la debolezza dei suoi alleati. Da Berlusconi e Salvini gaffes e debolezza oratoria. Il Terzo Polo? Non solo novità elettorale, ma personalizzazione che gli italiani cercano”. E sul perché i 5 Stelle vanno forti al Sud…

Berlusconi e Salvini da un lato; M5s e Terzo Polo dall’altro. I cosiddetti “gregari” dei due partiti maggiori, Fratelli d’Italia e PD, rappresentano al momento sia una scommessa che una variabile tutt’altro che di semplice codificazione. Lo dimostrano, tra le altre cose, le uscite di Berlusconi e Salvini sulla Russia o le mire di Conte e Calenda sulla golden share di Letta nel campo opposto.

Formiche.net ha posto il tema a Gianluca Passarelli, professore ordinario in Scienza Politica presso l’Università La Sapienza e autore, tra l’altro, di “La Lega di Salvini. Estrema destra di governo” (2018); “The Presidentialization of Political Parties” (2015).

Interessante, in proiezione elettorale, è il tema “gregari”: Lega e Fi giù nei sondaggi, quindi un potenziale problema per Fdi; M5s e TP su, quindi una risorsa per Pd o un concorrente in più. Iniziamo dal centrodestra.

Chi ha ascoltato, come me, direttamente in piazza del Popolo Giorgia Meloni ha notato plasticamente la sua preoccupazione per l’impaccio e la debolezza, anche oratoria, di Berlusconi e di Salvini. Entrambi continuano a macinare gaffes e dichiarazioni veramente disastrose per la coalizione di centrodestra in termini elettorali, mentre Meloni ottiene delle prestazioni migliori. È proprio questo il problema.

Ovvero?

Il rischio per Meloni è di stravincere. Basta pensare che il centrodestra fino alle ultime rilevazioni pubblicabili era attorno al 45% dato che, sostanzialmente, riflette il range di voti che il centrodestra ha dal 1994 ad oggi: ieri nel formato Forza Italia, Lega Nord, Alleanza Nazionale, Udc. E’ lo stesso blocco sociale, politico ed elettorale che resta immutato.

Cosa cambia?

Ciò che cambia è un travaso di voti da Forza Italia in parte, ma soprattutto dalla Lega, verso Meloni. Quindi, nel caso in cui Meloni ottenesse, come è ragionevole aspettarsi, la maggioranza all’interno del centrodestra si troverebbe di fronte ad alleati molto più deboli e al di sotto del 10: a quel punto rischierebbe, se non ottenesse la maggioranza dei seggi, di rimanere con un tesoro non utilizzabile, al di là di ciò che potrà fare il Presidente della Repubblica, che probabilmente conferirà in quel caso a Meloni l’incarico esplorativo. Ma l’esplorazione poi dovrebbe andare in porto. Il problema di Meloni rimane comunque la debolezza dei suoi alleati.

Nel Pd è già scattata la successione a Letta per questo calo di consensi? Dalla segreteria Renzi a oggi i punti persi sono parecchi.

Renzi alle famose europee prese il 40, ma in realtà il dato più alto alle politiche si registrò con Veltroni. Quindi il punto centrale, secondo me, è vedere quali saranno i risultati del Pd, perché il dato del 2018 è appunto del 18%: se se il Pd dovesse andare sotto al 18%, non sarebbe un problema di Letta, ma dell’intero campo progressista e dell’intera sinistra.

Finirebbe il campo largo o l’idea riformista dem?

Non ci sarebbe più la sinistra, il centrosinistra, oltre che che il Pd, quindi. Pensare già al dopo però credo che sia l’aspetto minore perché i partiti hanno anche bisogno di continuità. Nel dopo elezioni, presumo, ci sarà in ogni caso un congresso all’interno del Partito Democratico all’inizio del nuovo anno. E ovviamente chi avrà più filo lo tesserà. Ma insomma, questo mi pare un discorso post 25 settembre che riguarda anche altri.

Come la Lega?

Salvini ha un problema perché, come abbiamo visto platealmente a Pontida, è sfidato apertamente dai presidenti delle Regioni: Fedriga e Zaia lo incalzano. Ciò non vuol dire che sarà sostituito automaticamente perché lui controlla una buona parte del partito, ne conosce i militanti, la storia, l’organizzazione. Ma potrebbero, diciamo, metterlo sotto tutela perché un risultato sotto al 10% riporterebbe la Lega all’inizio degli anni ’90, cioè alla Lega del 1992.

Sarebbe uno spartiacque?

Potrebbe essere davvero sorprendente per il Paese. Del resto queste sono elezioni cruciali. Secondo me sono elezioni come quelle del 1948 in cui si decide se l’Italia sta nel campo atlantico o sta nel campo delle democrature cioè della Polonia e dell’Ungheria, ovvero dell’ammiccamento alla Russia. Abbiamo ascoltato le dichiarazioni sulla Russia di Berlusconi che non è un passante, bensì è stato per anni presidente del Consiglio e la Lega Nord è ancora alleata formalmente col partito di Putin: siamo ben oltre i discorsi diplomatici, siamo all’elogio di una dittatura.

Quindi il voto del 25 settembre cosa rappresenta?

E’ una scelta di campo tra una visione di stampo europeo e atlantico, con tutto ciò che ne comporta e tutto ciò che si può fare di meglio; e una visione di una società più chiusa: questo è secondo me il campo al di là del destino del singolo leader, sia esso Salvini, Letta o Conte.

Un M5s in risalita sarà un problema per la componente riformista del Pd?

Non è poi qualcosa di nuovo: è una crescita del Movimento 5 Stelle al Sud, che è il contrario di quello che è stato il Movimento 5 Stelle, in origine nato al Nord e non nel 2007 con i Vaffa Day. Adesso si è meridionalizzato, non solo per il reddito di cittadinanza. Credo che semplificare così sia offensivo anche per gli elettori. Non è vero che tutti votano in base allo scambio, allora bisognerebbe dire che chi vota per la Lega lo fa perché ci sono le sovvenzioni alle industrie. Mi sembra una semplificazione, certamente c’è un un vuoto ed una distanza nelle regioni meridionali e questo diventa per il Movimento cinque Stelle un grande campo da gioco.

Un Terzo Polo oltre il 7% sarebbe la vera novità di queste elezioni? Semplice voglia di cambiare o lo stile crudo di Calenda, al pari di quello di Meloni, fa presa sull’elettorato?

Ma diciamo che è un po’ il combinato dei due fattori che lei citava. Cioè c’è una parte di personale politico che è uscito dal Partito Democratico e da Forza Italia, perché sia Calenda che Renzi ovviamente vengono da quella tradizione e hanno deciso che, per vari motivi, il Pd non risponde più alle loro esigenze. L’azione di Calenda concordata con Renzi, in effetti, pare stia beneficiando a questo cartello elettorale, perché Calenda e Renzi personalizzano molto. Si tratta di un partito iper personale. Hanno impresso questa grande dinamica modernizzatrice: è una grande scommessa proprio perché Calenda ha investito, credo in tutti i sensi, molto in questa azione. E gli elettori, in questa fase di personalizzazione, trovano in lui un protagonismo come quello nel passato di Grillo e di Renzi. Ci sono elettori che sono in cerca continua di un padre o una madre.

@FDepalo


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