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La svolta “infiltrati” degli 007 italiani secondo Pagani (Pd)

Il deputato dem commenta l’emendamento al decreto Aiuti bis che prevede la possibilità per l’Aise di svolgere operazioni sotto copertura. Serve “qualche anno” per la piena operatività, dice. “Ma se non si comincia non si avranno mai i risultati”

Il decreto Aiuti bis approvato al Senato e arrivato alla Camera contiene quella che su Formiche.net abbiamo definito una svolta per l’intelligence italiana. Ovvero, la possibilità per l’Aise di “impiegare proprio personale” al fine di “attività di ricerca informativa e operazioni all’estero”. Dietro a questa espressione si ritrova la cosiddetta “penetrazione informativa”, che il Glossario intelligence pubblicato tre anni fa dai Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica definisce “attività info-operativa condotta da un servizio di informazione per acquisire notizie in ambienti o organizzazioni di interesse, avvalendosi di uno o più infiltrati”.

Alberto Pagani è stato tra i maggiori sostenitori dell’iniziativa. È deputato del Partito democratico, membro della commissione Esteri e della delegazione parlamentare presso l’Assemblea parlamentare della Nato, già componente della commissione Difesa.

Dalla Guerra Fredda il mondo è cambiato, e così l’intelligence. Come mai l’Italia ha aspettato così tanto prima di dotarsi di questo istituto?

Credo che ci fosse la preoccupazione che aprire questa discussione potesse rievocare impropriamente le vecchie storie di Gladio, che non c’entrano assolutamente nulla, e scatenare polemiche strumentali, per alzare un gran polverone senza riuscire a concludere nulla.

Le sfide delle tecnologie emergenti riguardano anche le attività dell’intelligence, a iniziare proprio delle operazioni sotto copertura. Pensiamo ai dati biometrici nei passaporti, per fare un esempio. “Anche in un’epoca di artificial intelligence, è necessaria la human intelligence”, aveva spiegato Sir Alex Younger, allora capo dell’MI6, a fine 2018, sostenendo la necessità per l’intelligence di gestire le innovazioni. Come adeguarci a queste sfide?

Il fatto che l’acquisizione informativa per mezzo della tecnologia abbia prodotto una quantità di dati mai vista prima non significa che le fonti umane non siano più necessarie. Anzi, io credo che sia vero il contrario: più materiale possiamo procurarci con la Sigint, da intercettazione e intelligenza artificiale, e più si rende necessaria la capacità di penetrazione Humint, cioè occhi, orecchie e cervello umano.

La nuova legge è un primo passo. Ma quanto servirà alla nostra intelligence per darle seguito sul campo?

Qualche anno, perché il personale deve essere selezionato, reclutato, formato e addestrato, poi va immesso sul campo, con una copertura seria e sicura. Per trovare fonti e costruire una rete informativa serve tempo, ma se non si comincia mai non si avranno mai i risultati.

Durante l’attuale legislatura molto si è parlato di riforma della legge 124 del 2007 sull’intelligence. Crede che quell’impatto sia superato?

Purtroppo le condizioni politiche per arrivare a una riforma strutturale e condivisa della 124 non ci sono state, ma questo non toglie che sarebbe necessaria una revisione organica del sistema. In questa legislatura abbiamo fatto quello che era possibile, con modifiche specifiche e puntuali, ma molto significative e profonde, nei cambiamenti che sono stati apportati.

Come ammodernarlo?

Ciascuno ha le sue idee. Le mie temo che siano troppo radicali per trovare una larga convergenza tra le forze politiche, come sarebbe necessario. Se la domanda è puramente accademica ne possiamo anche parlare, altrimenti è meglio restare coi piedi per terra ed essere realisti.

Prenda la mia domanda come puramente accademica, quale soluzione proporrebbe?

Penso a un sistema di sicurezza nazionale che si regge su quattro gambe. In primo luogo riporterei l’intelligence militare del Ris dentro il sistema della sicurezza nazionale, perché la Difesa dispone di straordinarie capacità, che andrebbero coordinate strutturalmente nel comparto dell’intelligence nazionale. La seconda gamba è l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, che non fa intelligence, ma concorre alla sicurezza nazionale perché protegge le infrastrutture critiche dalla minaccia informatica. La terza gamba dovrebbe nascere dall’evoluzione e dal potenziamento dell’Aise, per garantire la capacità di penetrazione offensiva, e quindi la raccolta informativa e le operazioni di intelligence vere e proprie, all’estero, come fanno la Cia, l’MI6, il Mossad, la Dgse. Il sottosegretario Franco Gabrielli parla di servizio unico, per indicare la necessità di ricomporre funzioni interne ed esterne in materie come l’intelligence economica, per esempio.

È la strada giusta secondo lei?

Credo che ora questo strumento si possa implementare. Infine ci sono i compiti di protezione interna della sicurezza nazionale, che sono cosa diversa dall’intelligence in senso stretto, che per sua natura è offensiva, perché fa spionaggio. È difficile però limitare l’azione difensiva all’interno dei confini nazionali, perché le minacce hanno dimensione internazionale. Prendiamo a esempio il contrasto della criminalità organizzata mafiosa o del terrorismo, che sono totalmente internazionalizzate, come pure le minacce eversive. La quarta gamba potrebbe nascere dall’integrazione delle capacità di indagine della Dia, prevedendo la possibilità di compiere fermi e arresti, con quelle dell’Aisi, che può avvalersi della possibilità di comunicazione ritardata all’autorità giudiziaria, e della copertura delle garanzie funzionali. Qui però ci si scontra con il totem costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Come pensa che si potrebbe risolvere questa contraddizione?

L’azione penale obbligatoria, che non è prevista negli Stati Uniti, ha prodotto un sistema di sicurezza interna incompleto, basato sulla semplice divisione tra sicurezza interna ed esterna, come per Fbi e Cia, negli Stati Uniti. Però l’Fbi, a cui è affidata l’Homeland Security, può compiere fermi ed arresti, a differenza dell’Aisi. Per questo penso a un’integrazione dei compiti e delle capacità della Dia e dell’Aise, dove si occupano delle stesse minacce alla sicurezza nazionale. Riportare Difesa e Interni dentro un sistema, coordinato dalla Presidenza del Consiglio, è più complesso della sola unificazione delle due agenzie, ma permette di concentrare maggiormente le forze. Il bilanciamento andrebbe garantito dal coinvolgimento di tutto il Consiglio dei ministri per le nomine, dal rafforzamento del controllo parlamentare del Copasir, a cui ora fanno riferimento Aise, Aisi e Agenzia per la cybersicurezza nazionale, e dall’autorizzazione preventiva delle operazione di magistratura dedicata, che potrebbe essere affidata a una sezione speciale della Procura nazionale antimafia ed antiterrorismo.

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