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Per l’Atlantic Council l’Italia è una potenza di mediazione nel Mediterraneo

Chi c’era e cosa si è detto alla conferenza “Sfide in Nord Africa: nuovi percorsi per la diplomazia internazionale?” organizzata dell’Atlantic Council e dell’Aspen Institute Italia, in collaborazione con l’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia

L’Italia dovrà affrontare nuove sfide in campo diplomatico, in particolare in Nord Africa, ma ha tutte le potenzialità necessarie per diventare una potenza di mediazione nel Mediterraneo. È quanto emerge dal rapporto dell’Atlantic Council dal titolo: “Le relazioni transatlantiche del Nord Africa tra cambiamento e continuità“. Il rapporto individua il potenziale ruolo che l’Italia e la sua diplomazia possono svolgere in Nord Africa, in pieno accordo e collaborazione con gli Stati Uniti e gli altri principali attori europei, nel risolvere alcune delle crisi più spinose del territorio e favorire un clima di collaborazione attorno l’alleanza transatlantica che potrebbe aiutarla ad affrontare le crescenti ambizioni delle potenze mondiali rivali.

A parlarne un gruppo di esperti dell’Atlantic Council e dell’Aspen Institute Italia in una conferenza dal titolo: “Sfide in Nord Africa: Nuovi percorsi per la diplomazia internazionale?” organizzato in collaborazione con l’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia.

Una combinazione di fattori internazionali e cambiamenti interni sia negli Stati Uniti che in Italia hanno creato opportunità per nuove forme di cooperazione in Nord Africa, ma le molteplici sfide che i due Paesi devono affrontare stanno mettendo alla prova le rispettive capacità di perseguire politiche estere coerenti. Dato che il bacino del Mediterraneo è ancora geopoliticamente fratturato e frammentato, il forte legame degli interessi dell’Italia con gli Stati Uniti (l’area economica integrata più ricca del mondo) e con l’Alleanza transatlantica (l’alleanza più potente della storia) è destinato a incidere sui suoi politica estera complessiva. Egitto e Turchia, ad esempio, sono state in disaccordo nell’ultimo decennio a causa di agende politiche rivali e nel 2013 hanno rotto tutti i legami diplomatici richiamando i rispettivi ambasciatori.

La Libia sta entrando nel suo 11° anno di guerra civile con le fazioni rivali che si contendono il potere sulla nazione ricca di petrolio attraverso manovre politiche e scontri violenti. Il Marocco e l’Algeria sono ancora in aperto conflitto per controversie sui confini, alleanze geopolitiche opposte e una corsa agli armamenti in continua crescita. A causa del conflitto Algeria-Marocco, il Maghreb non è mai stato in grado di creare un accordo sindacale economico che andasse indubbiamente a vantaggio di tutti i paesi della regione.

A moderare il dibattito è stata Patrizia Karam, direttore regionale dell’International Republican Institute, secondo la quale si tratta di una importante occasione per analizzare le crisi in corso nell’area e del ruolo che l’Italia può giocare.

Per Emadeddin Badi, nonresident Senior Fellow dell’Atlantic Council, l’Italia è stato un interlocutore positivo in Libia ma non ha tradotto in politica effettiva le sue intenzioni. “Al momento in Libia non abbiamo elezioni e sono ritornati gli attori politico militari con due governi diversi – ha spiegato l’analista libico. Le due coalizioni che hanno siglato un accordo di tregua in passato sono molto frammentarie. Ci sono problemi di legittimazione rispetto al nuovo governo di Fathi Bashagha così come c’è l’Egitto che sta guidando un processo politico di dialogo in quanto ha degli interessi particolari in Libia. Al momento ci troviamo in una fase di limbo e la percezione degli esperti europei e stranieri della situazione è molto diversa”. In questa situazione l’Italia “è un interlocutore costruttivo e conosce la Libia bene non solo per la sua prossimità geografica ma anche perché ha molti interessi in comune, come la gestione dell’immigrazione. Ha un approccio pragmatico e una conoscenza ma questo purtroppo non si traduce in una politica efficace. L’Italia ha delle questioni interne che deve risolvere e non ha presentato il suo punto di vista in modo convincente rispetto ad altri paesi europei”. Badi lancia l’allarme infine sulla “crescente influenza della Russia nella regione, come in Libia, anche a causa di una politica incapace dell’Europa rispetto a Khalifa Haftar. La Russia usa i paramilitari non solo in Libia ma anche in Africa per espandere la sua influenza”.

Per Alessia Melcangi, nonresident Senior Fellow dell’Atlantic Council, storicamente l’Italia ha giocato un ruolo importante non solo per ragioni geografiche nel Mediterraneo. “Ci sono legami storici con la regione. Negli ultimi decenni l’Italia ha chiesto all’Europa di non soffermarsi solo sull’allargamento ad est ma di guardare anche al bacino sud del Mediterraneo. Abbiamo visto negli ultimi anni come il Mediterraneo sia diventato centrale per diversi punti di vista. Ci sono stati cambiamenti rispetto all’approccio ad esempio sul tema dell’immigrazione”, ha spiegato l’analista autore anche del report. “In Libia ad esempio c’è un contenzioso geo-economico tra Turchia e Egitto. L’Italia deve portare avanti una sua politica verso il Mediterraneo ed avere un approccio collaborativo multilaterale con gli Stati Uniti e la Comunità internazionale. La crisi energetica deve aprire la porta a nuove iniziative che possono vedere l’Italia protagonista ad esempio insieme alla Turchia. Nel settore energetico nel Mediterraneo orientale l’Italia può facilitare il dialogo rispetto ad alcuni Paesi”.

Roberto Menotti, Senior Advisor per le attività internazionali dell’Aspen Institute Italia, ritiene che il contesto transatlantico sia cambiato radicalmente con l’elezione di John Biden e da un punto di vista italiano e europeo con il governo di Mario Draghi in Italia. “Questa combinazione è stata molto importante anche nella regione mediterranea. L’amministrazione precedente di Donald Trump ha paralizzato diverse questioni nei rapporti transatlantici. Credo che ad esempio il contesto della Nato sia stato danneggiato ed è stato difficile per gli europei organizzarsi anche a livello del contesto dell’Onu. Molte questioni sono state riattivate dall’amministrazione di Biden ed hanno trovato sulla via Draghi con cui c’erano buoni rapporti, non solo per questioni personali”. Secondo Menotti se guardiamo alle risorse energetiche o militare “vediamo che dobbiamo essere complementari”. Il prossimo governo italiano “penso guarderà al futuro e seguirà la stessa via”. Rispetto alla Libia, “l’Italia è in diversi livelli quello che capisce meglio alcune dinamiche, ma di recente abbiamo capito che molte altre questioni regionali, come quella tra Algeria e Marocco, sono legate tra loro. Nei media italiani non si parla per esempio del conflitto del Sahara occidentale perché ci sono accordi sul gas firmati con l’Algeria”.

Di quanto accade in quell’area ha infatti parlato Alissa Pavia, Direttore associato dell’Altantic Council, che si è focalizzata sulle recenti cause di tensioni tra Marocco e Algeria, anche se il problema parte dagli anni cinquanta e sessanta. Si parla della questione del Sahara occidentale e degli Accordi di Abramo. “Nel 2020 il Fronte Polisario ha aperto un conflitto aperto col Marocco. Per Rabat si tratta di una questione nazionale essenziale e anche il popolo segue la cosa da vicino – ha spiegato Pavia – Il Marocco ha inoltre investito in infrastrutture nel Sahara occidentale e la considera parte del suo territorio. L’Algeria dall’altra parte supporta con forza il Polisario che vuole l’indipendenza della regione”. Ha ricordato infatti che “il taglio delle relazioni diplomatiche nel 2021 è avvenuto dopo gli accordi di Abramo. Il Marocco è il paese arabo più popoloso che ha firmato questi accordi e ciò è avvenuto dopo che l’amministrazione di Donald Trump ha riconosciuto la marocchinità del Sahara occidentale. L’Algeria non è mai stata così isolata prima e si è sentita intimidita. Le relazioni tra Israele e Marocco sono forti anche per la presenza di marocchini ebrei in Israele. La questione del Sahara e gli accordi di Abramo sono al momento i due fattori maggiori di tensione tra Algeria e Marocco”. Rispetto al nostro Paese, l’analista ha ricordato come “l’Algeria è importante per l’Italia per il gas ma lo è anche il Marocco per le sue relazioni commerciali e la sua vasta comunità di immigrati”.

Per Karim Mezran, direttore del North Africa Initiative e resident senior fellow del Rafik Hariri Center and Middle East Programs dell’Atlantic Council “la cooperazione tra Italia e Stati Uniti è forte in Nord Africa. L’Italia conosce la Libia ma è molto timida e sostiene di non avere le risorse e di non poter far molto. Il governo di Mario Draghi era molto forte e aveva la possibilità di avere una politica estera forte ma anche in quel momento non ha fatto molto e senza un forte coinvolgimento degli Stati Uniti non c’è un’azione uniforme internazionale”. Mezran ha denunciato la presenza di formazioni armate che controllano il Paese e ha spiegato che “finora sono stati fatti molti danni dal 2014. Come possiamo recuperare e fermare queste gangs che dominano il paese? Per questo abbiamo scritto questo report per far capire che le cose stanno cambiando ad un macro livello regionale”. Rispetto alla crisi del Sahara occidentale, Mezran ha poi aggiunto: “L’Algeria è un importante parte di questo puzzle per gli Accordi di Abramo. Noi dobbiamo lavorare per evitare l’emarginalizzazione dell’Algeria. Draghi se è andato ad Algeri è non solo per il gas ma anche avere un ruolo diplomatico in questa crisi”. Rispondendo ad una domanda riguardo al ruolo della Francia in Africa, ha concluso: “Abbiamo interessi comuni nell’area che sono più di ciò che ci divide. La Francia continua a perseguire la sua politica unilaterale di aggressione in Nord Africa e nel Sahel e poi chiede la cooperazione italiana in Niger ma non in modo costruttivo. L’Italia può fare da ponte tra i paesi europei per la cooperazione transatlantica”.

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