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La guida dell’ITU agli Stati Uniti. Perché è una buona notizia per Internet

La candidata statunitense Doreen Bogdan-Martin è stata eletta a Bucarest come nuova segretaria generale dell’Agenzia Onu, prima donna a ricoprire l’incarico. Battuto il russo Rashid Ismailov e la sua visione di un Internet accentrato nelle mani dei governi nazionali. La partita era fondamentale per il futuro delle telecomunicazioni e non così scontata da vincere

Nel Palazzo del Parlamento di Bucarest si è deciso il futuro di Internet. I 193 delegati hanno infatti votato per eleggere il nuovo segretario generale dell’International Telecommunication Union (ITU), l’agenzia specializzata per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione delle Nazioni Unite. Più che un voto, sembrava essere una sfida ideologica: da una parte la statunitense Doreen Bogdan-Martin, da tre decenni all’interno dell’Agenzia di cui al momento è direttrice del Telecommunication Bureau, dall’altra il russo Rashid Ismailov, ex ministro delle telecomunicazioni, ex vicepresidente di Huawei e dirigente d’alta fascia che ha lavorato anche in Nokia ed Ericsson. Il mondo era chiamato a schierarsi ancora una volta con Washington o con Mosca e, di nuovo, era chiamato a scegliere in base al tradizionale schema offerto dai due Paesi, libertà in opposizione al controllo. E, con la vittoria della statunitense, la prima donna a guida dell’Agenzia, sembrerebbe aver scelto la prima opzione.

Si trattava di una votazione troppo importante e troppo poco dibattuta a livello mediatico. Bogdan-Martin, che durante i suoi trent’anni di lavoro nell’organizzazione è stata artefice del Global Symposium for Regulators, della ITU Youth and Gender Strategies, della Equals Global Partnership, dell’Ufficio ITU presso le Nazioni Unite a New York e dela Broadband Commission for Sustainable Development, si era infatti detta infatti preoccupata della possibile vittoria del suo rivale, non tanto perché sarebbe risultata sconfitta, ma per i cambiamenti che avrebbe apportato all’ITU. È dal 2012 che la Russia, insieme a Arabia Saudita, Algeria, Cina, Emirati Arabi Uniti e Sudan, tentano di cambiare le regole dell’organizzazione, cercando di espandere il proprio dominio anche al cyberspazio e, pertanto, ad Internet. Il che avrebbe voluto dire una maggiore stretta e un controllo attento, che per molti assomigliava a un autoritarismo in tutto e per tutto.

Dal 1865, l’ITU detta le norme per le telecomunicazioni e per l’uso delle onde radio ma, con i progressi tecnologici, è diventato centrale nella partita della regolamentazione di Internet. Come sottolineato dal vice segretario generale uscente, Malcom Johnson, “tutti stanno cercando di far progredire la tecnologia verso i propri interessi”. Così si sono andati a formare i due schieramenti. Da un lato Stati Uniti, Europa e altri Stati democratici, dall’altro lato Russia e Stati più o meno autoritari. Mentre i primi professavano un Internet aperto, libero e accessibile da e per tutti, i secondi volevano che fossero i governi nazionali a decidere cosa può o non può comparire sulla rete. Esempio pratico ne è la proposta avanzata da Huawei, “New IP”, con cui sostanzialmente si voleva arrivare a un Internet nazionale. Un’idea appoggiata anche dall’ultimo segretario generale, il cinese Zhao Houlin, che nel corso del suo mandato ha cercato di ostacolare la mentalità occidentale all’interno dell’ITU. La Cina, non a caso, appoggiava il candidato russo Ismailov. La scelta, quindi, era tra lasciare Internet così come lo conosciamo oggi (seppur necessiti di riforme) oppure trasformarlo in un organo statale e, pertanto, in mano a pochi.

La posta in palio era altissima e, per tale ragione, i due candidati hanno girato in lungo e in largo per accaparrarsi i voti cercando di ottenere quanto più sostegno possibile. Seppur il voto fosse a scrutinio segreto, secondo quanto risulta a Formiche.net, l’Italia ha votato per Bogdan-Martin. Come da indicazione europea, d’altronde. Tre giorni fa, la Repubblica Ceca (presidente di turno dell’Ue) spiegava come si stesse spingendo verso “un approccio basato sui diritti umani per l’intero ciclo di vita delle tecnologie di telecomunicazione – tra cui la progettazione, lo sviluppo, la diffusione, l’uso e lo smaltimento – come parte di una visione della trasformazione digitale incentrata sull’uomo, anche nei processi di definizione degli standard internazionali”. Un obiettivo importante, per cui “dovremmo lavorare insieme per realizzare una trasformazione digitale basata su apertura, inclusione, uguaglianza, sostenibilità, resilienza e sicurezza. Incoraggiamo l’ITU, in quanto membro della famiglia delle Nazioni Unite e in collaborazione con altre organizzazioni per lo sviluppo di standard, a sviluppare standard che siano coerenti con i quadri internazionali esistenti in materia di diritti umani e libertà fondamentali”.

Parole molto simili a quelle espresse dalla Casa Bianca, ovviamente scesa in campo a supporto della propria connazionale. “Il prossimo segretario generale dell’ITU, ha scritto il presidente Joe Biden in un comunicato, “svolgerà un ruolo importante nel rendere il nostro futuro digitale inclusivo e accessibile a tutti, specialmente nei Paesi in via di sviluppo”. Perciò invitava i delegati, soprattutto europei, a votare per Bogdan-Martin. In cambio, Washington avrebbe appoggiato la candidatura del lituano Tomas Lamanauskas per la vicepresidenza, per cui concorrevano anche i candidati della Corea del Sud e delle Isole Samoa.

Eppure, anche se la Russia ha perso molto agli occhi del mondo dopo l’invasione in Ucraina, una sua sconfitta non era così scontata. In diverse occasioni suoi delegati sono stati esclusi dai comitati dell’ITU, una decisione storica che l’organizzazione non aveva mai preso. Tuttavia, non è bastato per frenare le aspirazioni di Mosca, dietro cui si celava anche Pechino. La paura era che il Cremlino riuscisse a convincere più Stati a votare per il proprio candidato, soprattutto quelli a Sud del mondo dove ha più influenza a cui prometteva più libertà all’interno dell’Agenzia, dominata da Usa e Europa. “La domanda”, si chiedeva un funzionario europeo, “è se la Russia può convincere i Paesi africani a votare”. Di fronte alla vittoria di Bogdan-Martin di questa mattina, anche una risposta affermativa a questo cruccio non sarebbe più problema.

 



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