Se la maggioranza di centrodestra si divide e il centrosinistra si sfarina, chi e in che modo potrà assicurare stabilità e linearità d’azione governativa? Si sarà costretti a varare l’ennesimo esecutivo di larghe intese? Per evitarlo, la leader di Fdi punta alle riforme istituzionali. Ma per quelle dovrebbe coinvolgere l’opposizione. Rischiando di frantumare ancora di più la propria coalizione…
L’allarme col sapore di rischio di tenuta del sistema politico, l’ha lanciato chi in teoria meno avrebbe ragione di temerlo. “Serve stabilità. Non so se in questa legislatura, pur avendo noi la maggioranza, ci siano le condizioni indipendentemente da chi vinca, per governare cinque anni”. Firmato Giorgia Meloni, ossia la leader più accreditata per la vittoria alle elezioni del 25 settembre nonché la stessa che ha rivendicato come obbligatorio l’incarico per andare a palazzo Chigi e guidare il governo nel caso le urne fossero generose come i sondaggi assicurano.
Come mai tanta prudenza? E che significa sentire di non avere la garanzia della stabilità della premiership alla prima donna mai arrivata su quella poltrona, cosa che potrebbe assicurarle simpatie e consensi anche da settori politicamente lontanissimi?
Possibile ci sia un sussulto di senso di responsabilità da parte di chi si appresta ad accollarsi compiti così delicati in una fase di grande preoccupazione. Possibile anche che Meloni guardi con inquietudine a quanto accade nel campo avverso, col pericolo di sfaldamento del bastione Pd e dunque di squilibrio nel meccanismo democratico. Ma forse, volendo scrostare la vernice dei problemi, si intuiscono due motivazioni più di fondo.
La prima riguarda la non risolta battaglia per la leadership dello schieramento di centrodestra. Il quale si presenta agli elettori con lo stesso packaging di trent’anni, fa scontando tuttavia una differenza sostanziale. Allora il perno, anzi la colonna portante dello schieramento era Silvio Berlusconi, inventore della formula e sagace interprete di una coalizione bifronte: al Nord con la Lega, al Sud con Alleanza Nazionale. Nel tempo, i tentativi di fusione delle tre anime nel nome del Cav sono andate deluse e soprattutto è la figura del Signore di Arcore ad aver subito l’erosione maggiore.
Fatto sta che per decenni nessuno da quella parte ha mai neppure tentato di mettere in discussione la leadership di Berlusconi. Oggi al contrario è esattamente quella dimensione ad essere vacante. Cinque anni fa, Salvini superò FI nel voto e per una fase sembrò che toccasse a lui raccogliere il testimone di Capo. Poi anch’egli ha subito un ridimensionamento e ora è la volta di Meloni a veleggiare. Ma la battaglia sotterranea per chi deve indossare i panni di Commander in Chief è in pieno atto.
Ne è, tra le molte, plateale conferma la divaricazione, sostanziale, riguardo le misure da prendere frenare il caro bollette. Per Salvini, infatti, si deve procedere con uno scostamento di bilancio di 30 miliardi che significa più debito pubblico. Per Giorgia è una strada sbagliata e non è un caso se dalla stessa parte si trova anche Mario Draghi. Se poi aggiungiamo che Berlusconi morde il freno per le ambizioni della leader FdI su palazzo Chigi, il quadro è completo. Cosa accadrà a quando queste tensioni si sposteranno nel Consiglio dei ministri?
Viene dunque il sospetto che i timori di tenuta avanzati da Meloni siano rivolti alla sua coalizione e ai due suoi partner siano indirizzate le ambasce espresse all’assemblea della Confcommercio. Se insomma cinque anni di stabilità non sono garantiti dipende dalle fibrillazioni in seno al centrodestra, destinate a crescere con l’inevitabile logoramento che l’azione di governo comporta.
E qui si aggancia la seconda motivazione che presumibilmente ha spinto Meloni ad esprimere così nette preoccupazioni. Se infatti la propria maggioranza si divide e il fronte opposto di centrosinistra si sfarina, chi e in che modo potrà assicurare stabilità e linearità d’azione governativa? Si sarà costretti, magari dopo un paio d’anni, ancora una volta a varare l’ennesimo esecutivo di larghe intese sempre guidato da un “tecnico” che deve giocoforza bypassare i partiti ma obbligatoriamente appoggiarsi sul loro voto in Parlamento? E ancora una volta vedremo frotte di Responsabili pronti a rinnegare gli impegni presi in campagna elettorale e decisi a far valere i loro voti negli emicicli?
Per Meloni – e non solo – la risposta non può che essere negativa. Ma per evitare un simile spettro l’unica strada è quella di riformare il sistema in profondità. La sfida del presidenzialismo nasce di qui. Come pure la proposta di Bicamerale. Il numero uno di FdI, al dunque, avverte il pericolo di un avvitamento della situazione che solo cambiando le regole del gioco può essere evitato. Per farlo, tuttavia, occorre coinvolgere l’opposizione. E questo potrebbe allargare invece di rimpicciolire le divergenze in senso al centrodestra. Bel paradosso. E bel problema. Logico che Giorgia sia preoccupata.