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Michael Gambon, il profilo di un grande artista

L’attore irlandese Michael Gambon, nato a Dublino nel 1940, e volto caro alle nuove generazioni per aver interpretato Albus Silente nella saga di Harry Potter, si ritira dalle scene. Claudio Mattia Serafin analizza la capacità attoriale di Gambon e riflette sui metodi recitativi moderni

Riflettere sulle interpretazioni dell’attore irlandese Michael Gambon, nato a Dublino nel 1940, significa chiamare in causa l’uomo, in un’esaltante confusione di ruoli che è anche una nuova pagina di cinema e di teatro; tale ricostruzione non può che essere frammentaria, dal momento che sempre schivo è stato l’attore in questione, e sempre impalpabili sono stati i ruoli che ha interpretato.

Un’ottima fonte di riferimento può essere senz’altro il recente “Michael Gambon. A life in acting”, di Mel Gussow (edito da New Publisher nel 2021, non ancora tradotto in italiano), in cui l’autore citato raccoglie le numerose interviste rilasciate negli anni da Gambon. Da tali dialoghi si possono desumere molte cose, ma è anche vero che la visione del cinema, delle serie televisive e degli spettacoli teatrali (quantomeno quelli trasposti in video) può offrire ancora più risposte.

Normalmente, la recitazione inglese è di un livello particolarmente elevato, se non anche superiore. Il pubblico è influenzato dal metodo recitativo statunitense, che è fisico, immediato, costruito su un sano rapporto con lo schermo stesso, oltre che con la resa definitiva; la recitazione internazionale (ad esempio, quella europea – francese, italiana, tedesca – oppure quella orientale, giapponese e cinese) è al contrario più affidata al caso e alla peculiarità di ruoli e interpreti.

Un misto di tutte queste cose si può rinvenire nel teatro britannico, specialmente quello poi prestato al grande schermo. Gli attori teatrali si formano con Shakespeare, Beckett, Ayckbourn, Stoppard, Céchov, o i classici della Grecia antica (ad esempio Sofocle). Con tale background, si spostano poi ai serial della BBC e infine al cinema. Il loro apporto è quantomai unico: vi è quella sregolatezza guantata, così fluttuante ed eterea, che va poi a ricomporre tutti i tasselli di spazio, tempo, trama e interazioni. Di fatto, questa è la componente irripetibile, che non si trova in altri tipi di recitazione: in un certo senso, è una recitazione moderna, e in questo Gambon è stato caposcuola. Se è vero che i vari Laurence Olivier, Richard Harris, Peter O’Toole, ecc., costituiscono i grandi punti di riferimento dell’interpretazione shakespeariana (aggettivo che sottintende espressioni e dizioni sontuose, solide e magniloquenti al tempo stesso), Gambon invece è più sottile, altrettanto (o forse più) preparato, ma al contempo sfuggente, come se impedisse a se stesso e ai suoi spettatori di mettere del tutto a fuoco il carattere interpretato. Dalla gestualità peculiare ed elegante, la sua fisicità lo rende a volte inamovibile, altre volte leggero come una piuma; lo sguardo saetta spesso per la scena inquadrata, come distratto o incuriosito. Ecco che allora si potrebbe accostare ai vari Ian McKellen, Tom Wilkinson e, per profondità, a Brian Cox, che in questo senso è una macchina da guerra e un interprete eccellente, oltre che professionista davvero, lo si sottolinea, impeccabile (e in questa sede si suggerisce la lettura dell’ottimo “Putting the rabbit in the hat. My autobiography”, edito da Quercus Publishing 28 ottobre 2021 e anch’esso non ancora tradotto in italiano).

In un importante film d’autore, “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante” (1989), per la regia di Peter Greenaway e la colonna sonora pianistica di Michael Nyman, Gambon interpreta Albert Spica, una sorta di signore del crimine che ha un rapporto, appunto, da capobanda con i suoi sgherri, con la moglie (Helen Mirren) e con tutti coloro che incontra. Per tutta la durata del film, Gambon applica la tecnica teatrale del flusso, o dialogo, ininterrotto, non smettendo mai di parlare e di interagire con chicchessia, dai suoi sodali al primo che passa. Mangia, commenta, critica la moglie, aggredisce chi ritiene pericoloso; da mero antagonista diviene presenza incombente e quasi metafisica, che poi però rimpicciolisce e ispira pena, se non anche simpatia, nel mostrare il carisma grezzo e in fondo disinteressato, o comunque poco sofisticato, del criminale malinconico, ingannato dai piani contorti dei due neo-amanti.

Pur essendo un importante caratterista, Gambon in realtà ha interpretato personaggi importanti per l’immaginario collettivo, e qui si possono citare a titolo esemplificativo il Commissario Maigret, una versione severa di Re Giorgio V, il Generale Hastings Lionel Ismay, Lord Salisbury, e molti altri personaggi storici o di invenzione, tra i quali ovviamente Albus Silente della saga di “Harry Potter”, preside di Hogwarts. Fondamentale è stata la sua versione del personaggio, di suo molto capace, riservato e cauto, che nelle sfumature offerte da Gambon diviene – in aggiunta alle caratteristiche di base – inflessibile, arguto, ineffabile ed estremamente carismatico.

Da ultimo, era nel cast della serie televisiva “Fortitude” nel ruolo di un anziano fotografo naturalista, vagamente misantropo, molto intelligente e dal carattere totalmente imprevedibile, ed è apparso nei panni di se stesso (o di una presenza superiore, un momento di effettivo meta-cinema) nella parte finale del film “La mia vita con John F. Donovan” (2018), dando conforto al protagonista in difficoltà, ma senza riuscirvi (?); la sua presenza nella pellicola era stata fortemente voluta dal giovane regista, Xavier Dolan, ammiratore dei suoi lavori (Dolan ha addirittura un tatuaggio del suddetto preside di Hogwarts sul braccio).

(Foto: CC BY-SA 3.0-IamIrishwikiuser)

 



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