Non sempre il mercato segue le logiche della politica. E del voto. A meno di due settimane dalle elezioni del 25 settembre, il Monte dei Paschi di Siena è un cantiere quanto mai aperto e, volente o nolente, esposto alle sirene dei partiti. Eppure gli investitori sembrano credere davvero alla ricapitalizzazione della banca più antica del mondo, 2,5 miliardi senza i quali Siena rischia di saltare per aria prima ancora di aver trovato un compratore, consentendo al Tesoro, oggi azionista al 64%, di disimpegnarsi così come pattuito con l’Europa tre mesi fa.
Come raccontato da Formiche.net, Fratelli d’Italia è entrata a gamba tesa sul dossier Mps, chiedendo in un’intervista a Bloomberg il posticipo dell’operazione a dopo le elezioni. Ricapitalizzazione che sarà quasi certamente frazionata, con gli 1,6 miliardi messi sul piatto dal Mef pronti per essere iniettati per poi raccogliere i restanti 900 milioni dal mercato, sotto la regia del consorzio bancario posto a garanzia dell’aumento. Il quale, giova ricordarlo, ha già espresso dubbi sull’effettiva opportunità di ricapitalizzare una banca pubblica in piena campagna elettorale e con un nuovo governo in vista.
Eppure, il mercato sembra crederci davvero al salvataggio di Siena, che passa sì per l’irrobustimento del patrimonio ma anche per le operazioni collaterali. Tra queste, la gestione degli esuberi, impossibile da affrontare senza i soldi del Mef, la pulizia dei bilanci con lo scarico delle sofferenze presso la controllata del Mef, Amco, e il conferimento al Mediocredito centrale delle filiali del Sud. La prima spinta, non banale visto che mancano due giorni all’assemblea dei soci Mps chiamata a pronunciarsi sull’aumento, è arrivata dalla Borsa, dove il titolo del Monte ha strappato di buon mattino, fino a toccare un guadagno del 20% per poi ingaggiare un rally per tutta la giornata e chiudere a +19%.
Segno inequivocabile di una fiducia del mercato verso la ricapitalizzazione. Alcune fonti vicine alla banca, poi, confermano tale interpretazione. Sarà davvero difficile, viene raccontato, che l’aumento vada a rotoli o più semplicemente rimandato, per il semplice motivo che, oltre a essere già concordato con la Bce, è propedeutico alla tenuta stessa della banca (nel primo semestre 2022 Mps ha riportato un utile di 27 milioni, contro i 202 milioni di attivo dello stesso periodo del 2021). A nessuno, viene spiegato, torna utile un fallimento di Siena, soprattutto a cinque anni da quella nazionalizzazione che seguì al primo simil-crack, quello figlio dei contratti derivati Santorini e Alexandria.
L’operazione frazionata non è una missione impossibile, anzi. Un altro segnale nella direzione dell’aumento è arrivato proprio in queste ore da Anima. Il gestore patrimoniale sarebbe disponibile ad aiutare Mps a raccogliere capitale, anche se al momento non ci sono discussioni in merito. Anima potrebbe contribuire con 150-250 milioni di euro, a seconda di come saranno stati rivisti i termini della sua partnership con l’istituto di credito.
E poi c’è l’ottimismo del ceo Luigi Lovaglio, gran tessitore del rilancio del Monte e del piano industriale che vale 700 milioni di euro. Nonostante gli oltre 22 miliardi bruciati tra aumenti di capitale e salvataggi di Stato in 11 anni, Lovaglio è tornato a chiedere agli investitori di avere fiducia nel nuovo corso della banca. “Mps ha un enorme potenziale e farà emergere in modo risolutivo il proprio valore, fondato su un modello di business a basso assorbimento di capitale e con fondamentali solidi – ha detto in un’intervista a MF – Ci sono almeno tre buone ragioni per crederci: l’eccellenza del network, con una forte presenza delle filiali su tutto il territorio, la qualità dei ricavi con un livello di commissioni superiore al margine di interesse e una best in class challenger bank, Widiba”.