Incassato il via libera della Bce per la banca più antica del mondo si apre la delicata fase della ricapitalizzazione. Il Tesoro è pronto a fare la sua parte ma gli istituti del consorzio di garanzia vogliono vederci chiaro in vista dell’imminente voto di fine mese. Un rinvio non è escluso, ma l’operazione per salvare Siena per il momento non è in discussione
Non basta un disco verde a fare un aumento di capitale. Per il Monte dei Paschi si apre una nuova fase, la più delicata e scivolosa, gettata alle spalle un’estate vissuta non senza scossoni. Antefatti: lo scorso 23 giugno è arrivato l’atteso piano industriale che nella logica del ceo Luigi Lovaglio, subentrato lo scorso febbraio a Guido Bastianini, dovrebbe portare la banca più antica del mondo dritta al ritorno sul mercato, magari tra le braccia di una più grande e strutturata realtà, una volta disimpegnatosi l’azionista Tesoro (64%).
Poi sono arrivati i conti semestrali, non certo esaltanti. Mps ha infatti chiuso il primo semestre del 2022 con un utile pari a 27 milioni di euro, a fronte dei 202 milioni di profitti conseguiti nel primo semestre 2021. In mezzo, c’è stato un titolo che nelle ultime settimane è tornato a mostrare segni di sofferenza e sfiducia verso il perno dell’intera operazione che guarda alla privatizzazione dell’istituto: quell’aumento di capitale da 2,5 miliardi da portare a casa entro novembre e senza il quale la banca non solo rischia di saltare ma di non essere appetibile per un futuro compratore.
Per fortuna è caduto l’ultimo ostacolo, quello della Bce, che ha dato il via libera all’aumento, sottoscritto per la maggior parte (1,6 miliardi) dal Tesoro, mentre il resto delle risorse andranno cercate sul mercato. Il quale potrebbe subire l’influenza delle imminenti elezioni, che volenti o nolenti impatteranno sul futuro di Mps e soprattutto sugli umori degli investitori chiamati a sottoscrivere la restante quota della ricapitalizzazione. Una certa sfiducia, nonostante gli sforzi di Lovaglio, sembra comunque esserci dal momento che dopo la notizia del via libera della Bce, il titolo Mps ha chiuso la seduta in calo del 4,65%, a quota 0,30 euro (e nei giorni successivi non è andata meglio). Il mercato, nonostante l’ok di Francoforte, continua a nutrire i suoi dubbi.
D’altronde, la posta in gioco è alta e con l’aumento ci si gioca un po’ tutto, al netto di tutti quegli interventi collaterali che dovranno accompagnare l’irrobustimento di Siena, che verrà sottoposto all’assemblea di metà settembre. Ovvero prepensionamenti, scorporo delle filiali del Sud e prosecuzione della pulizia dei bilanci. E se finora la tabella di marcia è stata rispettata, le prossime saranno le settimane più difficili per il Monte dei Paschi.
Prima della pausa estiva la banca aveva annunciato un allargamento del consorzio di pre-garanzia che oggi, oltre a Mediobanca, Bofa, Credit Suisse e Citi, comprende anche Santander, Barclays, Société Générale e Stifel. Saranno proprio queste banche che, insieme al Tesoro, nella seconda metà del mese valuteranno la praticabilità dell’aumento. E sembrano esserci le prime divergenze con il management del Monte. Il consorzio spingerebbe infatti per un rinvio della ricapitalizzazione al prossimo anno, a fronte di un Lovaglio che sarebbe invece contrario a far slittare l’operazione e anzi vorrebbe procedere spedito, rivela una fonte a Formiche.net, con il coinvolgimento degli anchor investor Axa e Anima, che potrebbero sottoscrivere una quota del 10% ciascuna investendo 250 milioni di euro.
Altre fonti qualificate consultate da Formiche.net, fanno notare come effettivamente ci sia un qualche elemento di incertezza sulla parte di aumento legata al mercato. La richiesta di un rinvio da parte delle banche del consorzio, viene fatto notare, è plausibile perché nessuno ha intenzione di mettere soldi in un istituto alla vigilia di un voto che potrebbe rimescolare le carte. Nel dettaglio, investitori e istituti del consorzio, vorrebbero capire dal prossimo governo le effettive intenzioni su Siena. Nozze? E con chi? E a quale prezzo? Escludendo ovviamente la soluzione standing alone, che non può reggere alla prova della concorrenza, anche se non va del tutto esclusa. Una cosa è certa, viene ancora fatto intendere: se un po’ di melina è da mettere nel conto, alla fine le banche non si sfileranno dall’operazione Mps, perché un default della banca non conviene a nessuno e sarebbe un colpo micidiale all’economia e al sistema bancario nazionale.