Il sostegno degli europarlamentari di Fratelli d’Italia e Lega ai colleghi ungheresi attira l’attenzione sui legami dei due partiti con il sovranismo del leader magiaro. Carnegie Europe colleziona le opinioni dei principali centri studi sullo stato della democrazia ungherese
Il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria, ha votato a larga maggioranza un documento molto duro in cui si afferma, in sintesi, che l’Ungheria non è una democrazia compiuta. Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro, difendendo l’operato del premier Viktor Orbán. Giorgia Meloni ha affermato che il Paese è democratico, con un leader eletto dal popolo. Pochi giorni dopo la Commissione europea ha proposto un taglio di 7,5 miliardi di aiuti comunitari all’Ungheria.
Il centro studi Carnegie Europe ha pubblicato un report in cui riunisce le opinioni dei principali analisti di think tank europei. Il rimprovero diffuso rivolto all’Unione è di non essere stata sufficientemente attenta e aver accettato compromessi che minano oggi l’integrità dell’Unione stessa. Durante il decennio scorso, la Commissione europea ha evidentemente subordinato la tutela dei valori dell’Unione europea a interessi istituzionali e partitici, come la costruzione del consenso all’interno del Consiglio Europeo, o al mantenimento del partito ungherese Fidesz nel Partito popolare europeo. È dall’anno scorso che sono iniziati effettivi tentativi di fare leva con strumenti come il regolamento sulla condizionalità per spingere i due Paesi illiberali, Ungheria e Polonia, a modificare i propri atteggiamenti.
Secondo Shada Islam, che dirige il New Horizons Project, la strategia dell’Unione europea verso l’Ungheria di Orbán è stata miope e autolesionista, prestando il fianco alle critiche di governi autocratici esterni all’Unione di utilizzare due pesi e due misure. Rimproverando il mancato rispetto delle norme democratiche all’estero, ma permettendo che due membri le scavalchino. L’analista evidenzia l’enfasi posta sulle questioni dell’indipendenza della magistratura, o le violazioni dello stato di diritto, ma l’assenza di dibattito sulle posizioni di suprematismo bianco del primo ministro ungherese.
Della stessa opinione Alica Kizeková dell’Institute of International Relations Prague che fa notare come l’Ungheria sia l’unico Paese europeo che ricade nella classifica “parzialmente libero” di Freedom House. Se questa tendenza non sarà invertita, spiega, l’Unione si troverà in grande imbarazzo quando Budapest assumerà la presidenza del Consiglio dell’Unione europea nel 2024. Esiste poi la questione della dipendenza energetica del Paese dalla Russia di Vladimir Putin, un ulteriore punto che compromette la strategia di diversificazione di Bruxelles.
Ancora più netto e duro è Peter Krekó, direttore del Political Capital Institute di Budapest. A suo parere, il primo ministro Orbàn ha costruito un vero e proprio regime illiberale con il sostegno finanziario europeo, salvo poi utilizzare il regime per minare le capacità decisionali di Bruxelles.
Di fronte alle pressioni europee di congelare il bilancio comunitario, o addirittura di trattenere in maniera permanente i Fondi di resilienza e ripresa post-Covid, il governo ungherese sembra pronto a fare concessioni e promesse. Sempre secondo Krekò, i leader europei non devono essere tanto ingenui da cadere in queste promesse: se non si effettueranno cambiamenti sistemici nella direzione di uno stato di diritto, più leggi approvate non cambieranno il modus operandi del regime. Secondo Ivan Vejvoda del Europe’s Futures Project, il Partito popolare europeo deve assumersi gran parte della responsabilità per la risposta lenta e morbida alla regressione ungherese sullo stato di diritto. Sospeso dal gruppo nel 2019, il partito Fidesz ha deciso di lasciare il gruppo prima di essere espulso nel 2021.
Secondo Jacek Kucharczy dell’Institute of Public Affairs di Varsavia, i governi polacco e ungherese hanno assoluto bisogno dei fondi comunitari per consolidare il proprio potere e garantire la pace sociale, attraverso transferimenti finanziari a fasce sociali cruciali per il loro sostegno, come i pensionati o gli abitanti delle zone rurali. Su questo tema il premier ungherese ha accumulato molta più esperienza dell’omologo polacco Jarosław Kaczyński . Orbàn gli ha mostrato la strada da seguire. L’introduzione del meccanismo dello Stato di diritto ha dato all’Unione europea un nuovo potente strumento per imporre il rispetto dei valori europei. Allo stesso tempo, la posizione filoputiniana dell’Ungheria dopo l’invasione russa dell’Ucraina ha reso evidente alla classe politica dell’Unione europea che Orbán non è solo una minaccia per la democrazia ungherese, ma anche per la capacità dell’Unione europea di rispondere a questa guerra in conformità con i valori fondamentali dell’Europa.
Questo discorso viene ripreso da Pol Morillas del Centro per gli Affari Internazionali di Barcellona. Orbàn vorrebbe proporsi come un mediatore utile con Putin quando sarà il momento di negoziare, ma il suo disprezzo per le istituzioni comunitarie non lascia presagire nessuna lealtà. Qui la differenza con la politica fortemente anti-russa dei polacchi. La Commissione sembra più che mai determinata a spingere il governo ungherese a rispettare gli interessi fondamentali dell’Unione europea. Ma sarà abbastanza insistente? Il mantenimento della politica delle sanzioni alla Russia e la creazione di una politica energetica europea comune sono decisivi per il successo della Commissione von der Leyen e anche per il futuro dell’Europa.