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Biden e Meloni, gioie e dolori. Le frasi del presidente

Il presidente usa il voto italiano come un pericoloso precedente anche per gli Stati Uniti, dove i trumpiani potrebbero vincere le mid-term e The Donald punta a tornare alla Casa Bianca. Ma per comprendere come potranno essere i rapporti bilaterali nel prossimo futuro, meglio rileggere le dichiarazioni di Blinken: il sostegno all’Ucraina è condizione necessaria ma non sufficiente

Non sappiamo che cosa pensi davvero Joe Biden di Giorgia Meloni.

Sappiamo, però, che il presidente degli Stati Uniti è in campagna elettorale per le elezioni di mid-term e lo sarà probabilmente fino al 2024.

Sappiamo anche che il suo avversario è Donald Trump, il suo predecessore alla Casa Bianca. Lo considera un “semi-fascista”.

Sappiamo poi che sono molti i media statunitensi a definire fascista la leader di Fratelli d’Italia. Ruth Ben-Ghiat, professoressa alla New York University, ha scritto su The Atlantic un articolo dal titolo “Il ritorno del fascismo in Italia”. L’emittente Cnn ha spiegato l’esito delle elezioni italiane così: “Giorgia Meloni rivendica la vittoria per diventare il primo ministro italiano più di estrema destra dai tempi di [Benito] Mussolini”. Il quotidiano New York Times ha parlato, nella sua newsletter mattutina dopo il voto, di “amnesia” italiana rispetto al passato fascista.

È alla luce di questi elementi che va inquadrata la frase pronunciata durante un evento del Partito democratico da Biden: “Avete appena visto cosa è accaduto in Italia in quelle elezioni. State per vedere che cosa accadrà nel mondo. La ragione per cui mi preoccupo è che non potete essere troppo ottimisti neppure su che cosa accadrà qui”. Il presidente parlava a braccio a un ricevimento della Democratic Governors Association. Il senso è chiaro, ha osservato il Corriere della Sera: in Italia ha vinto un partito (o una coalizione) che mette a rischio la democrazia e qualcosa del genere accadrà anche altrove. Il presidente non specifica dove. Ciò che gli interessa, scrive il Corriere, “è usare il voto italiano come un pericoloso precedente anche per gli Stati Uniti, dove i repubblicani-trumpiani potrebbero vincere le elezioni di mid-term il prossimo 8 novembre (rinnovo della Camera e di un terzo del Senato), ma soprattutto lo stesso Trump potrebbe ricandidarsi per la Casa Bianca”.

Ma sappiamo anche altre due cose. Prima: che la politica estera statunitense, specie in questa fase in cui il presidente è concentrato su questioni interne, è gestita dal dipartimento di Stato. Seconda: come raccontato recentemente su Formiche.net, il primo ministro ungherese Viktor Orbán non è soltanto la bestia nera dell’Unione europea ma anche un elemento di forte preoccupazione per gli Stati Uniti, a causa della penetrazione sia russa sia cinese. Basti pensare che al Summit delle democrazie di fine 2021 l’amministrazione Biden ha lasciato fuori l’Ungheria e che nei giorni scorsi Ned Price, portavoce del dipartimento di Stato, ha spiegato che è “troppo presto” per parlare degli invitati di quest’anno. “Ciò che ci unisce”, ha spiegato, sono “i valori”, “vogliamo vederli sempre in primo piano”, ha dichiarato lasciando pensare che la presenza di Orbán sia in forse anche per l’appuntamento di dicembre.

Ecco perché, per provare a immaginare il rapporto tra l’amministrazione Biden e il governo Meloni, è opportuno riprendere la dichiarazione di Antony Blinken, segretario di Stato. “Dopo le elezioni di ieri, siamo lieti di lavorare con il governo italiano su obiettivi condivisi: sostenere un’Ucraina libera e indipendente, tutelare i diritti umani, creare un futuro economico sostenibile”. Un uno-due-tre che a qualcuno ha ricordato la conta di Silvio Berlusconi durante le dichiarazioni di Matteo Salvini dopo le consultazioni al Quirinale nel 2018. “L’Italia è un alleato vitale, una democrazia forte, un partner prezioso”, ha poi aggiunto il numero uno della diplomazia americana.

Il sostegno italiano all’Ucraina è il primo punto per gli Stati Uniti. È condizione necessaria ma non sufficiente. Ci sono anche i diritti umani, e dunque il rapporto con Orbán. E la necessità di un “futuro economico sostenibile”, espressione dietro la quale sembra celarsi l’urgenza di un fronte comune contro le autocrazie, a partire da Russia e Cina. Da Washington guardano con attenzione al processo di formazione del prossimo governo a Roma, con l’incognita Salvini. E con l’auspicio che, per usare le parole del presidente del Consiglio uscente Mario Draghi, l’Italia rimanga una democrazia “forte”, che non si fa abbattere “da nemici esterni, dai loro pupazzi prezzolati”.


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