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Non piangete sull’astensionismo. Le motivazioni di chi non vota

Politici e commentatori, spargete lacrime sulla vostra inadeguata capacità di comprensione delle motivazioni di chi non vota. Gianfranco Pasquino li divide in tre gruppi: non voglio, non posso, nessuno me l’ha chiesto. Ecco chi sono

Non esiste nessun “partito degli astensionisti”. Non ha logo, non ha iscritti, non ha organizzazione, non ha leadership, non ottiene mai seggi. Quindi, è sbagliato evocarlo. I suoi adepti, tranne uno zoccolo duro, mutano nel tempo, cambiano casacca ad ogni elezione e, soprattutto, hanno motivazioni molto diverse. Prendendo le mosse dalla ricerca di tre eccellenti studiosi Usa sulla partecipazione politica: S. Verba, K. Schlozman Lehman e H. E. Brady, Voice and Equality. Civic Voluntarism in American Democracy (Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1995) votare è una forma, forse la più importante, di partecipazione politica, identifico tre grandi gruppi di astensionisti.

Primo gruppo: “non voto perché non voglio”.

Sono gli irriducibili. Non vogliono dare nessun consenso e neppure legittimità al sistema politico, alla classe politica, a quel che rimane dei partiti. Esistono un po’ dovunque nelle democrazie. Sarebbero da considerare un problema, non perché non votano, ma se, improvvisamente, mobilitati da una crisi o da un demagogo, accorressero in massa alle urne.

Il secondo gruppo è: “non voto perché non posso”.

Sono molto fluttuanti e anche molto irritati poiché vorrebbero effettivamente votare: studenti fuori sede e fuori Italia; imprenditori e lavoratori nelle loro molte, essenziali, attività all’estero; anche turisti colti da sorpresi da imprevedibili elezioni anticipate; donne e uomini anziani, malandati, che vivono soli e isolati e che fisicamente non sono in grado di recarsi alle urne, e nessuno li aiuta. Questo è il gruppo che, appena i coccodrilli smettono di spargere le loro ipocrite lacrime e s’impegnano in modifiche decenti alla legge elettorale, tornerebbe con interesse e soddisfazione a votare.

Voto per posta con schede spedite anche in anticipo e voto elettronico con diverse modalità, tutto già esistente, collaudato, praticato in molte democrazie occidentali, ad esempio, in Germania e in Svezia, ma anche negli Usa la cui qualità di democrazia elettorale, però, è sfidata dai repubblicani che il voto preferirebbero “sopprimerlo” (in Florida il governatore repubblicano ha vietato portare acqua agli elettori in fila per raggiungere i seggi!).

Il terzo gruppo risponde: “non voto perché nessuno me l’ha chiesto”.

Siamo entrati nel cuore della rappresentanza politica, quel rapporto virtuoso fra elettori sufficientemente informati e candidati sufficientemente disposti e capaci di dialogare con loro. In partenza è anche possibile sostenere che esiste uno sfarinamento del tessuto associativo italiano: meno iscritti, ma anche meno discussioni politiche in associazioni che traggono la loro forza dal contrapporsi alla politica; fine, da tempo, del collateralismo e depoliticizzazione dei sindacati, ma c’è di più.

Partiti non presenti sul territorio, molteplicità di candidati/e paracadutati/e che sbarcano, prendono il seggio, se ne vanno a Roma e adieu. Nessuna interazione con gli elettori, nessun rendiconto del fatto, dal malfatto, del non fatto. Prossimo giro altro collegio. Quasi sicuramente se le candidature nascessero dal contesto nel quale debbono cercare di vincere il seggio, fossero enfants du pays/native sons (and daughters), espressione di una comunità, gli appartenenti di quella comunità, che li conoscono da tempo, si attiverebbero anche mobilitando altri elettori e i candidati garantirebbero la loro presenza anche per non deludere amici, conoscenti, compagni di una vita. Il terzo gruppo di astensionisti è ampio, fluttuante, elastico, talvolta crescente.

Poiché, però, contano i voti di chi vota, i dirigenti dei partiti italiani poco si curano di andare a “chiedere il voto” impegnandosi faticosamente, magari sacrificando un loro candidato a favore del candidato del territorio. Seguirà una lacrimuccia facilmente asciugabile prima dell’elezione successiva. Dopotutto, il “partito degli astensionisti” non è riuscito a conquistare neanche un seggio. Peggio per loro o per la rappresentanza politica?

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