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Il fronte interno che preoccupa Putin. La versione del gen. Farina

Farina, forze armate

La mobilitazione di 300mila unità da parte della Russia non avrà impatti immediati sulla situazione in campo, ma dá il segno delle difficoltà incontrate da Mosca nella sua invasione dell’Ucraina. Il punto del generale Farina, già capo di Stato maggiore dell’Esercito e presidente del Centro studi Esercito

Il presidente Vladimir Putin, ha annunciato la mobilitazione parziale della Federazione russa, richiamando in servizio 300mila riservisti. Una mossa significativa, che sembra esprimere tutte le difficoltà in cui versano le forze armate russe impegnate nell’invasione dell’Ucraina. Airpress ne ha parlato con il generale Salvatore Farina, già capo di Stato maggiore dell’Esercito e presidente del Centro studi Esercito.

La Russia ha annunciato la mobilitazione parziale richiamando in servizio 300mila riservisti. Cosa significa?

Sul piano prettamente tecnico si tratta di una decisione che servirà a rinforzare il dispositivo militare russo. Ad essere richiamati saranno 300mila unità che hanno già avuto un’esperienza militare e, stando a quanto dichiarato dal ministro Šojgu, si tratta di riservisti con diversi gradi di specializzazione. Naturalmente, però, non dobbiamo aspettarci che questi rinforzi vengano immessi a breve nelle aree di operazione. Ci vorrà del tempo e, questo significa un probabile prolungamento del conflitto, anche se nell’immediato non si noteranno effetti determinanti nelle manovre sul terreno.

Quali sono adesso i tempi di questa mobilitazione?

Per avere la possibilità di aggiornare, riaddestrare, formare ed equipaggiare i riservisti ci vorranno all’incirca tra le sei e le otto settimane, considerando l’addestramento, l’inserimento e l’amalgama. Per cui l’orizzonte temporale è quello di molte settimane, se non addirittura mesi. Nel frattempo, dobbiamo aspettarci che la Russia prosegua le azioni distruttive condotte finora contro infrastrutture, città e civili, come accaduto nei passati sette mesi, in spregio a ogni norma di diritto internazionale, bellico e umanitario.

Di che tipo di truppe si tratta?

Sicuramente i riservisti, essendo personale che in passato ha già servito nelle forze armate, se adeguatamente formato e aggiornato possiede già un tipo di preparazione e di esperienza diversa da quella delle truppe di leva attualmente impegnate nel conflitto. Un esercito di coscritti tra l’altro reclutato principalmente nelle repubbliche periferiche della Federazione russa. Giovani letteralmente alle prime armi. Tuttavia, misurare la qualità e il contributo che invece i riservisti potranno dare allo sforzo bellico russo richiederà del tempo. Non bisogna peraltro trascurare che la vera differenza nel combattimento la fa un fattore fondamentale che è il morale delle truppe, ed è improbabile che il solo afflusso di riservisti possa cambiare l’ago della bilancia a sfavore degli ucraini, che hanno invece dimostrato un alto morale e un elevato spirito di combattimento, scadente invece nelle truppe russe.

Oltre alle unità di terra, la mobilitazione impatterà anche sulle altre branche delle Forze armate russe?

Per quanto riguarda la componente navale, la flotta russa ha pagato un pesante dazio in termini di unità messe fuori combattimento. Credo che il numero di navi perse da Mosca si aggiri introno alla quindicina, compresa addirittura l’ammiraglia della Flotta del Mar Nero, la Moskva. Meno navi significa meno necessità di personale. In generale, dunque, l’ingresso di riservisti nella Marina ritengo farà poca differenza. Per la componente aerea, il discorso è ancora più complesso, perché le forze aeree sono legate a professionalità e specializzazioni di altissimo livello, dai piloti ai tecnici di piattaforma e così via, oltre a dipendere fortemente dalla disponibilità di mezzi e sistemi. È chiaro, dunque, che questa mobilitazione impatterà in particolare le unità terrestri dell’Esercito russo.

Ritiene che i riservisti potranno essere impiegati anche in prima linea?

Se la mobilitazione sarà fatta in modo efficace, con un addestramento ben condotto, allora i richiamati in servizio potrebbero essere anche amalgamati nelle unità di prima linea. Ma solo una frazione di questi 300mila verrà impiegata direttamente sulla linea del fuoco, e peraltro serviranno a ripianare le perdite sofferte finora dalle Forze armate russe, stimate da più fonti in circa 20mila morti e forse più del doppio di feriti. Ma il vero problema di Mosca non è la carenza di militari, ma di comando, organizzazione e logistica.

Ci spieghi…

Il vero punto militare da analizzare è con quali armi, quali munizioni, quale supporto logistico e, soprattutto, con quale sistema di comando e controllo verranno impegnate le truppe, di leva o riservisti che siano. Mosca ha dimostrato di avere delle profonde lacune organizzative, nell’impiego, nel supporto e nel sostegno delle sue unità in manovra, e pertanto non si vede come l’immissione di nuovo personale, ammettendo anche che venga perfettamente addestrato e amalgamato nella linea di combattimento, possa avere effetto sulle grandi problematiche tecniche e di funzionamento della macchina militare russa.

Sul piano dell’equipaggiamento, ritiene che Mosca abbia i mezzi e i sistemi d’arma necessari ad equipaggiare efficacemente queste nuove unità?

In teoria, osservando gli organigrammi e dotazioni della federazione russa così come ci vengono presentate, diciamo di sì. Tuttavia l’esperienza sul campo ci ha dimostrato che molti mezzi militari, come l’ultimo carro armato o le altre novità sbandierate da Mosca, come il famoso semoventi controcarro Terminator, sono state schierate in quantità assai ridotte. Anche i successi russi dell’inizio estate della tarda primavera sono stati facilitati principalmente dall’uso delle artiglierie e dei lanciarazzi multipli, impiegati da grandi distanze e senza l’impiego deciso di truppe a contatto, in precedenza troppo esposte. Anche i Battlegroup combinati, che avrebbero dovuto essere la grande novità nella concezione tattica russa, non hanno operato come ci si aspettava. L’arrivo poi degli armamenti occidentali, specialmente degli Himars, con le loro gittate superiori ai settanta chilometri, hanno permesso la neutralizzazione di molte fonti di fuoco. Sarà comunque difficile per i russi ribaltare la situazione di fronte a queste perdite e alla sfavorevole situazione tattico-operativa. Se paragoniamo le due forze, dunque, sulla carta la potenza russa è soverchiante, ma un conto è devastare un territorio e fare terra bruciata, un altro è riuscire a mantenere il possesso di quel territorio, difenderlo e operare efficacemente.

L’afflusso di riservisti potrebbe essere la preparazione di una difesa statica a oltranza di quanto già ottenuto da Mosca, cercando di mantenere per quanto possibile almeno i territori occupati?

È sicuramente un’opzione. Putin, almeno teoricamente, potrebbe accontentarsi di chiudere il conflitto occupando i territori del Donbass e della Crimea. Naturalmente però l’Ucraina non lo accetterà mai, come hanno dichiarato ripetutamente e con fermezza tutti i rappresentanti di Kiev, a partire dal suo presidente. Allo stesso modo la comunità occidentale ha più volte sottolineato che non riconoscerà mai l’adesione delle due repubbliche separatiste. Il rischio è che la situazione evolva in una condizione di stallo.

Dal punto di vista strategico-militare, la mobilitazione non è un’ammissione da parte di Mosca di essere in difficoltà?

Assolutamente sì, e se Mosca non fosse stata in difficoltà non avrebbe avuto bisogno di questa misura importante. In Ucraina i russi hanno addirittura dovuto subire la controffensiva ucraina, oltre alle difficoltà di mantenere l’occupazione nelle regioni orientali e meridionali del Paese. La mobilitazione, inoltre, andrà a toccare anche la vita sociale e civile di tutto il Paese, già gravemente provato dagli obblighi di leva e dalle sanzioni. Le difficoltà sul campo e gli impatti sulla popolazione, inoltre, aggravano anche la posizione di Putin sul fronte interno. Alcuni hanno addirittura definito la decisione della mobilitazione un gesto “disperato”. Sicuramente si tratta anche di un’ulteriore provocazione di Mosca verso i suoi avversari in un momento in cui il proprio peso internazionale è sicuramente in difficoltà.

Mosca è alle strette?

Nell’ultimo meeting di Samarcanda Putin non ha ricevuto quel caloroso supporto che si aspettava all’inizio. Il premier indiano Modi si è detto contrario alla guerra in Ucraina, e persino da parte della Cina c’è una certa “freddezza”, o comunque non c’è un supporto a tutto campo, dell’invasione portata avanti dalla Russa. Molti Paesi si stanno allontanando dal supporto alla visione di Putin, e questo ha effetti anche all’interno. Vanno aumentando le voci sul fronte interno che vorrebbero porre fine a questa guerra. Purtroppo, restano poi i cosiddetti falchi che si rifiutano di concepire come giusta la strada di un cessate il fuoco, vista come una sconfitta della Russia, e anzi alimentano le spinte verso la minaccia – o addirittura il possibile uso – dell’arma nucleare, paventata da Putin e dai suoi sostenitori e che se si verificasse sarebbe una catastrofe per tutti. Per il momento, la mobilitazione è una mossa che va contro le speranze della pace.

Quali contromisure dovrebbe adottare l’Occidente?

La possibilità che il conflitto si prolunghi nel tempo, unita alle minacce di Putin sull’impiego dell’arma atomica, richiede che l’Occidente resti compatto e unito, e che continui a fornire il supporto militare alla resistenza del popolo ucraino, che tanto sta mettendo in difficoltà l’esercito russo. Inoltre, deve continuare a confermare le sanzioni. Infine, deve agire in modo fermo ma prudente, evitando di entrare nella trappola dell’escalation che sarebbe nociva per tutti.

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